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Immagine del redattoreNina Ferrari

La notte di Santa Lucia e il senso di ogni tradizione


Racconto biografico - Santa Lucia - Natale - Tradizione - magia - infanzia - bambino - Nina Ferrari

Da bambina vivevo in un piccolo paese. Nei paesi, più che in altri luoghi, sopravvivono le tradizioni nella loro interpretazione più immutata e pura, forse perché in contesti ristretti è più facile concordare che «perché s'è sempre fatto così» sia una motivazione ineccepibile per conservare qualcosa. Le tradizioni di carattere religioso la fanno da padrone, perché è da più tempo che si fanno così. E io, che ero una bambina tutt'altro che religiosa, mi barcamenavo a cavallo tra queste tradizioni e il mio immaginario fantastico, sicuramente pagano, con curiosità e un pizzico di conformismo sociale. I miei amici credevano in Gesù e allora ci credevo anche io, anche se nel frattempo, nel mio privato, credevo di più alla voce delle fronde degli alberi smosse dal vento e alle loro parole.

In paese il 13 dicembre si teneva una processione guidata da una figurante di Santa Lucia. Non quella vera, ma una che le assomigliava molto, e ti veniva il dubbio che magari fosse pure quella vera, e allora non ti ci avvicinavi troppo. Era buio, io pensavo che fosse notte, ma più probabilmente si trattava solo di un tardo pomeriggio d'inverno.

Si partiva dalla piazza del paese per inerpicarsi lungo alcuni sentieri nel bosco, su tra i sassi e gli aghi di pino e il freddo che riempiva il naso. Stringevo la mano del mio adulto, ma in silenzio, attenta a tutte le procedure. Chi guidava la fila urlava ad alta voce una poesiola in dialetto che neppure saprei più replicare, perché io il dialetto non lo conoscevo bene allora né adesso, ma parlava dell'arrivo di Santa Lucia, che era sempre più vicina, e più noi camminavamo più lei si avvicinava. Ogni bambino era stato invitato a portare un campanaccio per richiamarla, ma, siccome io il campanaccio non ce l'avevo, in mano portavo un campanello, tipo quelli per richiamare la servitù. Ci ammaestravo il gatto.

Volevo vederla, questa Santa Lucia. E, in salita, senza farmi troppo notare, infilandomi tra gli altri bambini senza sgomitare, cercai di sgattaiolare più veloce per raggiungere la testa della processione. A questo punto non saprei neppure dire se il mio adulto mi stesse ancora seguendo o se si fosse arreso ad attendermi nella folla.

Così la vidi. Non da vicino, ma abbastanza vicino per riconoscerne la figura bianca, eterea, accanto al proprio asinello, che era proprio un asinello vero. La donna portava un velo lungo il volto e riconoscerne i tratti non si poteva. Santa Lucia era cieca, questo lo sapevo, ma che sotto quel velo ci fossero degli occhi vuoti, vitrei, lo realizzai solo in quel momento. Io la guardavo e lei non poteva vedermi. Per questo dondolava il capo senza armonia. Mi spaventai appena, ma continuai la mia analisi. Nonostante il freddo non portava i guanti, e questo al mio sguardo aumentò le possibilità che quella figura fosse veramente lei. Le sue mani erano candide, molli, con le unghie corte. Camminava con la lentezza simmetrica di un essere immateriale. Forse non poggiava neppure i piedi a terra.

Questo era troppo. Troppo magico e troppo bianco nella notte nera, io troppo sola in mezzo a quella folla di bambini e campanacci per sopportare quella vista straordinaria e dolorosa.

Corsi indietro e afferrai la mano del mio adulto.

«Ho freddo», dissi, «voglio tornare a casa».

Così abbandonammo la processione, in silenzio.

La strada a ritroso, lungo il sentiero di sassi, la feci a balzelli per scaricare tutta l'elettricità che mi aveva attraversata osservando quel prodigio spaventoso, più veloce che potevo, per lasciarmi alle spalle la processione. La sera preparai davanti alla porta di casa un piattino di zucchero per l'asinello di Santa Lucia. Lo feci con un misto di paura, reverenza e ammirazione.

Ancora oggi, quando penso alla figura di Santa Lucia, mi sovvengono quel volto coperto di bianco, le mani come il latte, l'immagine eterea e, forse direi oggi, spirituale. La tradizione ha lasciato dentro di me un segno, un immaginario pregno di significati e di sentimenti contrastanti, come si addice a una bambina che vede una santa. Come se, al di là delle cose che ho imparato col tempo, a cui credo o a cui ho smesso di credere, io sapessi perfettamente chi è Santa Lucia: perché una volta l'ho vista, e con me tanti altri. Non è forse questa la radice di ogni tradizione?

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