La memoria è stata oggetto di studio e di venerazione fin dai tempi più antichi. La mitologia greca la impersonava nella dea Mnemosine, figlia di Urano e di Gea e madre delle Muse, che proteggevano l'arte e la storia. Fu invocata come sempiterna protettrice sia dai Greci che dai Latini, perché la loro cultura, che era prevalentemente orale, trovava nel suo sostegno la condizione per resistere al tempo.
Sarebbero passati diversi anni prima che Giordano Bruno (1548-1600), nel XVI secolo, trattasse l'argomento della memoria trasformandola in un'arte che poteva essere studiata e imparata attraverso il suo De Umbris Idearum, che, oltre a essere un testo filosofico, può essere anche definito come il primo manuale di mnemotecnica della storia. Sebbene, soprattutto negli ultimi anni, Giordano Bruno e la sua opera siano stati riscoperti e trattati da diversi studiosi e in diversi contesti, a volte anche piuttosto pop, raramente accade che in merito alla memoria, e in particolare all'ars memoriae, venga citato un altro filosofo fondamentale per la comprensione del Pensiero Occidentale, e ben antecedente a Bruno, cioè Agostino d'Ippona (354-430 d.C.).
Infatti Sant'Agostino, vissuto nel IV secolo d.C., più volte nelle sue Confessioni trattò l'argomento della memoria, coniando definizioni che sarebbero poi diventate metafore classiche sia per indicarla che per descriverla, sia in contesti letterari, che filosofici; oltre che, appunto, nella manualistica che insegna la mnemotecnica. E lo fece, in particolare, nel libro X delle Confessioni, quello in cui il vescovo d'Ippona ricordava la sua ricerca spirituale e il suo incontro con Dio.
Sembra strano immaginare che il primo a definire come «magazzino» la nostra memoria sia stato proprio uno dei Padri della Chiesa. Eppure come potremmo definire altrimenti i «vasti quartieri della memoria, dove riposano i tesori delle innumerevoli immagini di ogni sorta di cose, introdotte dalle percezioni; dove sono pure depositati tutti i prodotti del nostro pensiero, ottenuti amplificando o riducendo o comunque alterando le percezioni dei sensi, e tutto ciò che vi fu messo al riparo e in disparte e che l'oblio non ha ancora inghiottito e sepolto?» (Confessioni, X, 8, 12). Le possiamo immaginare, queste percezioni, queste immagini, raccolte in «pieghe segrete e ineffabili», tenute al sicuro nella coscienza e protette con cura dall'oblio, perché sia possibile accedervi ed evocarle al bisogno. Possiamo quasi toccarle. E del resto questo è esattamente il fine dell'ars memoriae, che però sarebbe stata formalizzata secondo metodi diversi solo mille anni dopo Agostino.
L'ars memoriae avrebbe nel tempo sviluppato varie tecniche per permettere all'uomo di non dimenticare: molte di queste tecniche si sarebbero rifatte all'uso di «luoghi» immaginari, di strutture fantastiche capaci di contenere lo scibile umano e a volte anche di crearlo: perché nello spazio della mente, visto ora non più solo come un luogo, ma quasi come una macchina, l'accostamento di elementi diversi era in grado di generare nuovo sapere, creatosi dal nulla come grazie a formule alchemiche che usavano come ingredienti le idee stesse.
A questo spazio ideale e intangibile si poteva dunque accedere liberamente per ritrovare e per creare la conoscenza, antica e nuova, come sarebbe infatti accaduto col Teatro della Memoria concepito dall'umanista rinascimentale Giulio Camillo (nato a Portogruaro nel 1480 e autore per l'appunto del trattato L'idea del theatro, che fu pubblicato postumo a Venezia nel 1550, sei anni dopo la sua morte). Che fossero stanze, teatri o luoghi di altro genere, questi spazi della memoria erano, in tutto e per tutto, delle specie di magazzini, che, rifacendosi nell'immaginazione a luoghi fisici reali, grazie a un potere quasi magico permettevano di accedere al sapere.
Eppure, precedente a tutto questo, mille anni prima di Giordano Bruno e di Giulio Camillo, Agostino, da fine psicologo qual era, già aveva immaginato la memoria come uno «spazio enorme», celebrandone la «grande potenza». Che, certo, corrispondeva alla grandezza di Dio, ma, di riflesso, anche alla grandezza della sua creatura, l'Uomo, che era stato creato a Sua immagine e somiglianza.
«La facoltà della memoria è grandiosa. Ispira quasi un senso di terrore, Dio mio, la sua infinita e profonda complessità. E ciò è lo spirito, e ciò sono io stesso» (Confessioni, X, 17, 26), diceva Agostino. La memoria, facoltà capace di rendere presente ciò che è assente, attraverso una rievocazione più o meno casuale dell'immateriale restituisce dell'Uomo qualcosa di magnifico, di profondo e complesso. Prendersi cura di tale facoltà, cioè esercitare la memoria attraverso il ricordo, può essere un esercizio di benessere e libertà: perché, per dirla con Agostino, «quando sono là dentro, evoco tutte le immagini che voglio». (Confessioni, X, 8, 12). Ecco dunque la magia della memoria, grande congegno della mente: rievoca, riproduce e crea l'esistenza di qualcosa che prima che fosse pensata non c'era. E che pure, una volta che è stata pensata, non può più fare a meno di esistere.
Per approfondire questo argomento, e in particolare gli aspetti magici e occultistici della cultura tardocinquecentesca in riferimento alla memoria, un libro meraviglioso che ti consiglio di leggere è L'arte della memoria di di Frances Amelia Yates. «Quello che mi ha soprattutto interessato», scriveva la studiosa riguardo a quest'opera, «è come la storia della memoria riesca ad abbracciare la storia della cultura nel suo complesso. Le barriere tra le diverse discipline, tra scienze naturali e scienze umane, tra arte e letteratura, tra filosofia e religione, spariscono nella storia della memoria». Il saggio, pubblicato nel 2007 da Einaudi, oggi è purtroppo fuori catalogo, ma può essere senza dubbio reperito in qualsiasi buona biblioteca. Sempre della stessa autrice ti consiglio Giordano Bruno e la tradizione ermetica, in cui al grande filosofo italiano, visto a ragione come un antesignano e un simbolo dell'Illuminismo, viene restituita una collocazione centrale all'interno della cultura e del pensiero umano rinascimentale e post-rinascimentale.
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