I simboli sono immagini che rimandano a ciò che è assente, ma che lo evocano con una forza tale da non aver bisogno di ulteriori spiegazioni. Ogni epoca definisce per ognuno di essi i suoi significati (basti pensare al concetto stesso di memoria: e ai simboli che vennero usati per rappresentarla tra il Medioevo e il Rinascimento, come ho raccontato in questo post). Infatti vi sono simboli che variano di senso col tempo e che si coprono di ignominia là dove una volta rappresentavano valori positivi.
Le rughe fanno parte di questo gruppo di simboli. Fisica dimostrazione del tempo che passa, da segno capace di indicare saggezza ed esperienza e, quindi, una bellezza in divenire dell'anima, sono passate a raffigurare la caducità della bellezza fisica, incarnata da una immobile giovinezza fattasi modello statico per tutti. La ruga è un argomento tedioso sia per le donne che per gli uomini, anche se a questi ultimi viene lasciata maggiore disinvoltura nell'amministrazione della loro bellezza. Non a caso negli ultimi decenni si sono prolificati gli ambiti di azione per la chirurgia estetica, volta a cancellare - tirando qui e spianando là - l'azione del tempo sul corpo e sulla pelle, dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
Cosa significa cancellare dal proprio volto i segni della vita? Cosa significa lamentarsi di questi segni, contrastandoli con tutte le armi a disposizione?
Inseguire un modello specifico di bellezza, certo, ma forse anche rifiutarne un altro. E degna di riflessione non è tanto la rincorsa alla giovinezza - a un tempo passato in cui si stava meglio, in cui maggiori erano le possibilità a disposizione, comprese quelle di seduzione - ma il rifiuto dell'evolversi delle possibilità offerte da un canone estetico diverso, il cui apice di piacere non sia visivo, ma esperienziale. Perché la vita si impara affrontandola, perché ogni curva superata lascia di sé un ricordo impresso non solo nella memoria, ma anche sul nostro volto. E che quella piega sulla pelle rimandi a un ricordo, a una lezione appresa o a un sentimento passato, è un piccolo prodigio dell'esistenza, che va sempre avanti finché ci è concesso procedere, sentire, pensare.
Il viso, inteso come la tela su cui si è impressa la storia individuale di ciascuno di noi, è lo specchio della nostra vita. Su di esso si sono sedimentate le gioie e i dolori, le fatiche e i successi, non meno di quanto non accada al carattere. «Le passioni si sono intagliate nel viso», scriveva infatti Balzac a proposito della vecchiaia ne La donna di trent'anni. Una frase che fa eco alla famosa richiesta di Anna Magnani al suo truccatore sul set pasoliniano di Mamma Roma, quando gli disse: «Lasciamele tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una, che ci ho messo una vita a farmele!». Forse l'orgoglio per le proprie rughe non è per tutti, ma ogni tanto varrebbe la pena di osservarle sotto una luce diversa, per cogliere sul nostro corpo un cambiamento che non è solo negativo, nella misura in cui oggi siamo qui, siamo questo, e magari ne è anche valsa la pena.
Ogni piega sul volto nasconde un'esperienza, un patrimonio di sentimenti e di conclusioni conquistate a volte anche con fatica, a volte con gioia. Il nostro viso è la copertina della nostra biografia: parla per noi se qualcuno è disposto ad ascoltare con il giusto orecchio, che è quello che non si sofferma sulla mancanza di imperfezioni, ma che invece indugia su cosa ci abbia resi perfettamente noi stessi.
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