Ero ancora agli inizi dei miei lavori in cantina. Avevo davanti a me cinquanta metri quadri di roba ammassata una sull'altra in geometrie pericolanti, ragnatele giurassiche di colore nero scuro e nebulose di polvere che si alzavano a ogni mio passo. Determinazione, guanti di lattice e mascherina anti-soffocamento erano gli strumenti del mio mestiere.
Per farmi strada tra le pile di oggetti, creavo nuovi cumuli dietro di me, e, man mano che trovavo nuove cose, le esaminavo per decidere cosa buttare subito e cosa invece avrei dovuto riesaminare in futuro. Pioniera della cantina, in incognito per le pressioni di mia nonna che non voleva buttare via nulla e che perciò non doveva sapere niente della mia missione, trovai ad un certo punto una piccola scrivania. Ma piccola piccola. Quattro tozze gambe divaricate sorreggevano un piano di altezza sproporzionata rispetto alle sue dimensioni. Coi guanti di lattice accarezzai il tavolo per capire che consistenza avesse.
*Nuvola di polvere*
Capii che, mentre i suoi bordi erano in legno massiccio, il suo centro doveva essere cavo. «Toc toc toc! Tec tec tec!», bussai con la mano.
Sì, era cavo.
Alzai la scrivania intera e la scrollai e, così facendo, potei ascoltare il suono di carte, penne e pezzi metallici seguire in un'onda il movimento delle mie braccia. Non capivo in che modo potessi aprire quel cassetto segreto, ma mi misi in testa che avrei trovato il modo di schiuderlo e leggere quelle carte. Alla faccia della privacy di tutti i miei avi!
Sì, insomma ce la feci. Dopo un po'. Diciamo qualche decina di minuti. Per fortuna ero da sola e nessuno mi vide. Per le questioni meccaniche ho sempre dimostrato un'intelligenza a scoppio ritardato, nel senso che ci arrivo, ma attraverso vie più lunghe e tortuose di quanto non accada a personalità più concrete della mia.
Quindi bisogna immaginare questo: una ragazza impolverata, munita di guanti di lattice e mascherina, sepolta tra oggetti di tutti i tipi in una cantina in cui non dovrebbe neanche stare; in silenzio, per non essere scoperta dalla nonna - che è sorda quando le chiedi qualcosa, ma che, al primo scricchiolio che proviene dalla cantina, col suo girello sfreccia come Schumacher per capire cosa succede - per almeno un quarto d'ora osserva una tozza scrivania misteriosa come una scimmia ficcanaso; finché finalmente ce la fa, capisce il meccanismo, che poi non era neppure così contorto, e, trattenendo le esclamazioni di trionfo - perché non bisogna farsi scoprire! - si butta a capofitto col proprio naso nel cassetto segreto per svelarne i tesori, che si riveleranno essere carabattole di tutti i tipi, che solo un occhio attento potrà tramutare in una storia preziosa.
Insomma, cosa trovai in quella scrivania?
Naturalmente di tutto!
Medicine senza data di scadenza (quand'è che in Italia hanno reso obbligatoria la data di scadenza sulle medicine?), quaderni, agende, dadi da cucina scaduti negli anni Sessanta, tappi di bottiglia (ovviamente!), penne, graffette, liste della spesa, ricette e ritagli di giornale. Ecco, i ritagli di giornale mi diedero una certa soddisfazione. Non solo per la prosa in uso ai tempi - ampollosa, dignitosa, ben curata e un po' impettita - ma anche perché la scelta di quei ritagli in particolare mi parlava della personalità di mio nonno, il mio nonno Italo, che ci aveva lasciati all'inizio degli anni Novanta quando ero ancora una bambina. E a cui evidentemente apparteneva quella scrivania.
Li scorsi tutti e ne trovai alcuni di veramente belli. Quello che però mi commosse davvero lo potete vedere qui sotto, perché decisi di scansionarlo:
«È stato scoperto il virus del bacio. Si chiama in termini scientifici "Mononucleosi infettiva". Dieci ammalati a Roma. Colpisce solo le persone di età inferiore ai 35 anni».
La mononucleosi, capito? La cosiddetta malattia del bacio, che io mi sono fatta suppergiù all'età di dodici anni (inferiore ai trentacinque in effetti!), e mica perché al tempo baciassi chissà chi, ma piuttosto perché alle festine dei ragazzini è impossibile riuscire a usare solo il proprio bicchiere e si finisce sempre per condividere un numero imprecisato di bicchieri con un numero imprecisato di invitati.
Cosa scriveva mio nonno sul ritaglio di giornale conservato con dovizia nel cassetto segreto della sua scrivania?
«ATTENZIONE»
«Attenzione», capisci. A caratteri cubitali. Perché alla fine degli anni Sessanta lui aveva ben sei figli di età inferiore ai trentacinque anni e almeno quattro in età da bacio! Eppure il fatto che il ritaglio fosse conservato nel cassetto segreto indicava che quello non era un argomento da sbandierare, perché trattava la sfera privata: quella dei baci, dell'amore, di cui per senso del pudore a quei tempi non si parlava facilmente tra genitori e figli.
Il nonno però ci teneva e voleva essere preparato a ogni eventualità. E ciò che più mi commuove è che la scritta «attenzione» era rivolta solo a se stesso, perché l'articolo era nascosto in fondo al cassetto segreto della sua scrivania piccolissima; nel frattempo, però, quel messaggio a se stesso era vergato in caratteri cubitali, perché come padre non poteva permettersi di ignorare i segnali di quella nuova malattia nei suoi figli, se mai uno di loro l'avesse contratta.
Ah, nonno, quanta tenerezza! Quanto pudore e quanta cura riconosco in questo ritaglio di giornale vecchio cinquant'anni, e - col senno di oggi - quanta innocenza osservo nei tuoi tempi, che sono rimasti racchiusi nel tuo cassetto segreto così a lungo e che ora mi saltano addosso sotto forma di tutto ciò che ti premeva conservare! Tra le mie mani inguantate stringo i tuoi frammenti di giornale ormai ingialliti e, grazie a essi, cerco di capire qualcosa di te, che te ne sei andato da un po', ma anche del mondo in cui vivevi. Mi godo ancora qualche passo del tuo articolo segreto e poi tornerò a rovistare nella polvere. Ecco, senti cosa dice:
«Sghignazza all'idea la ragazzina in blue-jeans professionista di baci che quando ne vuole uno dal suo ragazzo non fa che schioccare le dita, e poi nel bacio ci ridono dentro, ci chiacchierano allegramente, ci giocano: ci vorrebbe altro oggi per far ammalare una d'amore o di bacio. Eppure il bacio, oggi, fulmina ancora [...]».
Ma tu pensa: «blue-jeans»! Chi li chiamerebbe così oggi?
Una nota su Racconti della Cantina
I Racconti della Cantina sono una raccolta di sei storie autobiografiche che in parte descrivono come sono arrivata a diventare un biografo di professione. I fatti narrati, che mi sono tutti realmente accaduti, si sono svolti nell'arco di un anno circa, tra il 2015 e il 2016: in quel periodo stavo cercando alcune risposte sulla mia vita, che volevo trasformare in meglio, sia dal punto di vista personale che soprattutto sotto il profilo professionale. Mentre riordinavo la cantina, cocciuta come un mulo impolverato e affaticato (oltre che in incognito, naturalmente, perché la nonna non mi scoprisse), certo non pensavo che organizzare quegli spazi avrebbe anche creato posto a un'idea che mi avrebbe cambiato la vita: eppure è proprio quello che è successo quando alla fine di quel percorso ho fondato il progetto de Il Tuo Biografo. Per me la cantina della nonna - che purtroppo se n'è andata alla fine dell'ottobre del 2018 - è una specie di allegoria esistenziale e I Racconti della Cantina, che all'inizio avevo cominciato a scrivere più per diletto che per esprimere grandi significati sulla vita, si sono rivelati essere molto più personali di quanto avrei mai potuto immaginare. Perché parlano di me, delle mie radici e della mia famiglia paterna; ma anche perché raccontano in sei affreschi abbozzati alcune lezioni apprese sulla mia pelle, su cosa significhi riflettere su se stessi e sulla propria biografia: ciò che ho imparato allora lo metto oggi in pratica nel mio lavoro, ogni giorno. Ecco, dunque: se ti va di sapere qualcosa di più di Nina Ferrari come persona, I Racconti della Cantina sono un buon punto d'inizio. Se vuoi leggerli tutti, clicca qui.
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