Si ritiene che uno dei presupposti della memoria e dell'apprendimento sia la selezione delle informazioni da ricordare. Perché, se non c'è dimenticanza, neppure può esserci la memoria. Se ricordassimo ogni istante della nostra vita, saremmo ossessionati dai dettagli e vivere ci sarebbe praticamente impossibile.
Luis Borges (sulla cui biografia il blog de Il Tuo Biografo ha pubblicato questo approfondimento, che se volete leggere trovate qui) su questo argomento ci ha scritto uno dei suoi racconti più citati, Funes El Memorioso (Funes o della memoria, in italiano), che in Italia è stato pubblicato da Adelphi nel volume Finzioni. In questo racconto Funes è un giovane uruguayano dotato di tale memoria da divenire quasi stupido, perché incapace di pensare, in quanto «nel mondo sovraccarico di Funes, non c’erano che dettagli, quasi immediati». Questa folla sterminata di memorie gli uccide la mente, tanto da isolarlo dal resto del mondo, rendendolo solo e incapace di interagire con qualsiasi altro essere umano. E, in definitiva, di vivere.
Nel racconto di Borges, Funes, che non può dimenticare nulla, non ha neppure veri ricordi, ma solo un ammasso di memorie che gli affannano la mente. Oggi sappiamo che persone affette da una sindrome come quella di Funes esistono davvero e che, per quanto spaventosa sia questa condizione, vivere è possibile, nonostante si tratti di un'esistenza molto diversa rispetto a quella vissuta della maggior parte di noi.
Ad esempio, conosciamo la storia di Rebecca Sharrock, una ragazza australiana affetta da sindrome ipertimesica. In compagnia di sole altre ottanta persone in tutto il mondo a cui è stata diagnosticata la Highly superior autobiographical memory, Rebecca ricorda ogni dettaglio della sua esistenza a partire dai dodici giorni di vita. Della sua biografia non ricorda solo gli avvenimenti, ma anche le sensazioni, come se le vivesse in questo momento: i sapori, gli odori, i piaceri, ma purtroppo anche i dolori. Tanto che, per riuscire a dormire, deve tenere accesa la radio, per farsi distrarre dall'ondata di memorie che altrimenti la verrebbe ad angosciare ogni volta.
Sebbene da qualche anno Rebecca Sharrock sappia di avere solo una memoria prodigiosa, e non un altro disturbo fisicamente molto più compromettente, la sua vita è molto diversa da quella di tutti noi. Oltre a conoscere a memoria pagina per pagina ogni libro di Harry Potter, i ricordi che ha vissuto tornano a trovarla senza che lei possa fermarli. Questa impossibilità di oblio rappresenta, senza dubbio, una forma di condanna, che in parte ha a che fare con l'impossibilità di viveve appieno il presente e di progettare serenamente il futuro.
La maggior parte di noi ha alle spalle un'esperienza molto diversa da quella di Rebecca Sharrock, così come da quella di Funes el memorioso, ma la loro condizione porta alla luce un argomento su cui ognuno di noi ogni tanto dovrebbe riflettere: quanto ci blocca il passato? È possibile che alcuni episodi conclusi da molto tempo ci ancorino a una dimensione che ci sta impedendo di andare avanti, di rinnovarci, di rifiorire? E quanto dovremmo dimenticare, o addirittura perdonare, di quel passato per sentirci liberi di affrontare il futuro? (A questo proposito, in questo articolo vi ho raccontato in che modo è possibile elaborare i nostri vissuti attraverso un particolare metodo di scrittura).
Diceva il filosofo Nietzsche che «la felicità è l’oblio», che ovviamente è un'affermazione paradossale, ma anche una grande verità: per poter andare avanti abbiamo infatti bisogno di dimenticare - o, meglio, elaborare - in parte il passato, soprattutto quello che fa male e che ci blocca, ma nello stesso tempo di abbandonarci anche alla fantasia di un futuro che ancora non c'è. Per questo un buon equilibrio tra memoria e oblio rappresenta la via per la felicità: bisogna saper selezionare ciò che è ci è utile da ciò che invece ci ancora al passato (del resto, come ho spiegato qui, la possibilità stessa di immaginare un futuro ha bisogno di qualche ricordo pregresso sul quale costruirlo); bisogna insomma avere la capacità di ricordare per sapere chi siamo, associata alla facoltà di dimenticare per poter immaginare ciò che potremmo ancora essere: questa è la chiave per una cosciente costruzione della nostra vita. Un obiettivo che il povero Funes di Borges, la cui mente era sovraffollata di ricordi, certo non poteva permettersi.
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