Di solito quando consiglio un libro o una biografia mi assicuro sempre che ne esista anche un'edizione in italiano, perché chi mi legge possa godere del mio suggerimento nella lingua che presumo gli sia più naturale. Ma in questo caso il consiglio lo do lo stesso, pur sapendo che l'unica edizione disponibile è in inglese.
I forgot to die è il titolo della biografia di Khalil Rafati, milionario statunitense che, nel momento più basso della sua esistenza, si dimenticò di morire, ma che da quel momento in poi si prese cura di se stesso, arrivando non solo a costruire un'azienda di grandissimo successo, ma anche basata sulle stesse fondamenta etiche che gli avevano permesso di tornare a vivere.
Nel 2003 Rafati aveva trentatré anni ed era senza dubbio una persona in grande difficoltà: senzatetto a Los Angeles, dove dieci anni prima era approdato dal Montana per cercare fortuna come attore, era un tossicodipendente - di eroina, crack e cocaina - e viveva di piccoli espedienti. Non solo non era riuscito a diventare un attore, ma era anche stato arrestato per vandalismo e furti. Un piccolo delinquente, insomma. Ovviamente - ma questi non sono che dettagli rispetto a quanto già detto - beveva porcherie e mangiava cibo spazzatura e fumava come un turco.
In una notte del 2003, però, la vita di Rafati giunse al punto di non ritorno: salvato dai paramedici dall'ultima overdose, l'uomo scampò la morte per un pelo e da qual momento decise di prendere in mano la propria esistenza partendo dalla base, cioè da una corretta alimentazione. Fu da quel momento in poi che iniziò il suo percorso di redenzione, come lui stesso racconta nella sua biografia. Perché prendersi cura di sé a partire da ciò che ingeriva, che gli dava energia facendolo sentire in salute, gli permise di capire che poteva prendersi cura anche degli altri.
Perciò, dopo essersi disintossicato in un centro riabilitativo, si dedicò a tanti piccoli lavoretti (dal dog-sitter al pulitore di automobili) e cominciò a interessarsi al mangiare sano, pastrocchiando quando poteva nella sua cucina con frutta e verdura. Quando, quattro anni dopo l'incidente, si fu ripreso economicamente, decise di aprire un proprio centro di riabilitazione, in cui tra le altre cose offriva prodotti biologici preparati direttamente da lui.
Ed è qui che nasce Sunlife, la sua azienda di succhi di frutta. Per Rafati era importante che i suoi frutti portassero quel nome, che univa il sole alla vita, perché era stato proprio grazie all'abbracciare entrambi che lui aveva trovato salvezza. Non si trattava quindi di uno slogan che si rifaceva al clima californiano, ma di un modo d'essere, del modo d'essere di Khalil Rafati stesso.
«Non mi troverei nella posizione in cui sono se non avessi attraversato tutto quel dolore. È uno strano paradosso, ma è la mia realtà nonostante tutto». La posizione di Khalil Rafati, oggi un uomo di 47 anni che da ogni poro sprizza il proprio salutismo, è quella di un milionario proprietario di numerosi juice-bar in tutta la California, un uomo circondato da amici e da amore, un uomo di successo. Perché non è mai troppo tardi per usare il proprio dolore per costruirvi sopra le fondamenta di un percorso nuovo. Perché la reinvenzione di se stessi è possibile: quando si è toccato il fondo, basta dimenticarsi di morire nel momento giusto, per ricordarsi poi di prendersi cura del proprio corpo, della propria persona e del proprio destino.
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