Quello dell'insegnante è senza dubbio uno dei mestieri più nobili e difficili del mondo. Sulle spalle di un maestro grava la responsabilità di almeno una piccola parte di futuro dei suoi allievi, della loro capacità di comprendere il mondo per non subirlo e, a volte, per cambiarlo in meglio. (Non subire il mondo - spesso grazie alla conoscenza - è fondamentale: tanto che ho sentito di dover dedicare all'argomento un articolo, che potete leggere cliccando qui). Perché questo sia possibile è necessario non solo insegnare alcune nozioni di base - la conoscenza è imprescindibile per agire bene, cioè per compiere un'azione giusta e ponderata - ma essere anche in grado di trasmettere la capacità e la voglia di mettere tali nozioni in relazione tra loro, per formare un pensiero critico e autonomo. Essere un buon insegnante, dunque, è tutt'altro che facile: di buono c'è, però, che i bravi maestri si ricordano per tutta la vita.
Una delle principali sfide che un insegnante si trova davanti è quella di invogliare gli studenti a imparare (in questo articolo, se ricordate, al riguardo vi avevo proposto la testimonianza di un professore che affronta questo argomento ogni giorno): trovare cioè una leva perché i ragazzi capiscano innanzitutto l'importanza di assimilare le nozioni di base che vengono loro offerte. Come abbiamo già visto, la memoria si attiva più attraverso le emozioni che il mero senso del dovere: un buon insegnante lo sa e, proprio per questo, cerca di connettere i contenuti delle proprie lezioni alla vita - quotidiana o esistenziale - dei suoi studenti perché essi comprendano perché studiare possa migliorare la loro realtà.
Eppure c'è un altra questione che può influenzare la refrattarietà dei ragazzi ad assimilare nozioni, e riguarda il loro ruolo nel processo di apprendimento. Ogni giorno classi di studenti sono costrette a subire la trasmissione di ingenti quantità di informazioni attraverso lezioni frontali e non tutti sono disposti a capire che quelle conoscenze saranno loro utili per aprire la propria mente a orizzonti nuovi. Il ruolo tradizionale dello studente è sempre stato quello di essere destinatario passivo di informazioni, in cui il suo ruolo è relegato a ricevere senza mai dare: in un certo senso, si tratta di un'esperienza dalle connotazioni traumatiche - là dove traumatico è, in generale, il fatto di non poter partecipare attivamente al proprio processo di apprendimento aggiungendo del proprio alla ricezione passiva di informazioni.
La scrittura può, in questo contesto, ribaltare completamente la situazione e gli equilibri dell'apprendimento. La scrittura è infatti utilizzata in diversi contesti per riottenere retrospettivamente il controllo di una situazione subita, sia essa un evento particolarmente traumatico, come, ad esempio, un lutto, oppure anche una situazione difficile al lavoro. Quando raccontiamo un fatto che ci turba attraverso la scrittura, quell'evento lo facciamo nostro perché, almeno, abbiamo la libertà di esporlo secondo il nostro punto di vista: è vero che non possiamo cambiare ciò che è accaduto, ma possiamo disporre di quella storia come vogliamo, per narrarla come vogliamo. Di questo aspetto particolare del racconto, se ricordate, vi ho già parlato qui.
È dunque in questo solco che si colloca una strategia didattica, legata al potere della scrittura, già collaudata con succeso in alcune scuole statunitensi con studenti confusi e svogliati: è la tecnica della scrittura di classe, utilizzata come coadiuvante per l'apprendimento. Come funziona? In breve, prima della lezione, si chiede alla classe di dedicare dieci minuti all'elaborazione di un breve testo che tocchi gli argomenti della lezione precedente, perché vengano esposti e messi in connessione tra loro o, ancora meglio, in relazione alle esperienze personali dei ragazzi. Questo testo non rappresenta una verifica nozionistica, ma piuttosto un modo per l'insegnante di coinvolgere gli studenti a essere attivi e creativi rispetto alle informazioni assimilate; che, proprio attraverso la scrittura, da nozioni statiche si trasformano in strumenti per esprimere un punto di vista originale e un'elaborazione che tenga conto di una visione d'insieme che allo stesso tempo riassume le informazioni per espanderle in un contesto più ampio di riflessione.
L'interesse per la tecnica della scrittura di classe è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, soprattutto nel contesto di studenti con problemi di apprendimento. Uno dei maggiori studi condotti in questo senso è quello di Robert Bangert-Drowns dell'Università di Albany, che ha riscontrato un sensibile miglioramento nel progressso degli studenti grazie alla scrittura di classe. L'allenamento alla scrittura, infatti, non migliora solo le capacità di espressione (scritta), ma anche in generale l'abilità di connettere tra loro tutte le informazioni apprese in lezioni diverse da quelle in cui viene praticata la scrittura di classe.
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Ti interessa approfondire il tema delle mnemotecniche, ovvero dei metodi che sono stati creati per ricordare meglio le informazioni con cui veniamo in contatto? Il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato diverso spazio a questo argomento: se vuoi sfogliare tutti gli articoli, clicca qui.
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