Di Oriana Fallaci (1929 - 2006), donna, giornalista e scrittrice appassionata, pensatrice chirurgica e rigorosa, mi preme anticipare questo: in quanto autrice di Solo io posso scrivere la mia storia. Autoritratto di una donna scomoda, pubblicato postumo da Rizzoli nel 2016, scrivere la sua biografia, anche solo sulla pagina di questo blog, mi sembra quasi un delitto etico. Oriana mai e poi mai avrebbe approvato una biografia sulla sua vita non scritta da lei, anche se nel corso della sua esistenza non fece altro che raccontare il mondo dal proprio fiero punto di vista, in un continuo tentativo - spesso meravigliosamente riuscito - di spiegare la realtà anche grazie al racconto di se stessa, calata nella quotidianità della vita che osservava. Per questa ragione, mi sembra opportuno accennare nelle prossime righe solo ai fatti salienti della sua esistenza, con un rimando alle sue opere: che parlano di lei, proprio come lei avrebbe voluto, più di qualcunque altro interprete. E a voi raccomando: se vi interessa la sua vita, leggete le sue opere, perché è lì che la troverete.
Oriana Fallaci naque a Firenze nel 1929 da una famiglia antifascista. Suo padre, bottegaio fiorentino e perseguitato politico, non era ricco, ma investiva quasi tutti i risparmi familiari nell'acquisto di libri. Sua madre, donna forte e antifascista come il marito, condivideva con lui la passione per la lettura.
Prima di quattro sorelle, Oriana, ancora bambina, partecipò alla Resistenza come staffetta: dopo che i ponti sull'Arno erano stati abbattuti dai nazisti, la piccola Oriana trasportava in biciletta, da una parte all'altra del fiume, le munizioni che servivano ai partigiani per contrastare il nazi-fascismo. Ne parlò approfonditamente nei propri scritti autobiografici pubblicati postumi, in particolare in Solo io posso raccontare la mia storia. Fallaci, riguardandosi indietro, sostenne che quel periodo della sua infanzia le insegnò l'autodisciplina e le valse anche un riconoscimento d'onore da parte dell'Esercito Italiano: «Sono un soldato. Lo sono fin da ragazzina, quando nella mia famiglia di antifascisti diventai anche io un partigiano. Un soldato». L'esperienza di partigiana, vissuta in età precoce, attivamente e sulla propria pelle, portò la scrittrice a essere sempre una convinta oppositrice di qualsiasi forma di guerra.
Dopo essersi diplomata al liceo classico, Fallaci si iscrisse per un breve periodo alla facoltà di Medicina e Chirurgia, per poi trasferirsi a Lettere e filosofia. Ancora adolescente, a diciassette anni, aveva cominciato a scrivere per giornali locali fiorentini, in cui si occupava prevalentemente di cronaca e, coi soldi guadagnati coi suoi articoli, si pagò gli studi. Aveva sempre saputo di voler scrivere, fin da quando era bambina: «Quando avevo cinque-sei anni non concepivo nemmeno un mestiere che non fosse il mestiere di scrittore. Il giornalismo all’inizio per me fu un compromesso, un mezzo per arrivare alla letteratura». Quando le notti insonni trascorse a cercar notizie cominciarono a pesarle divenendo insostenibili, con rammarico smise di studiare all'università, dedicandosi da quel momento in poi solo al giornalismo.
Oriana, appena ventenne, si trasferì a Milano, dove iniziò a collaborare con Epoca, un settimanale diretto allora dallo zio Bruno Fallaci. Per non mostrare favoritismi nei confronti della giovane nipote, Bruno Fallaci la relegò a correggere solo le bozze degli altri giornalisti. A ventitdue anni, il grande colpaccio di Oriana: dopo aver scritto un articolo di cronaca locale toscana di rilevanza nazionale (la storia di un comunista a cui la Chiesa si era rifiutata di concedere un funerale religioso), la giovane giornalista provò a spedirlo a L'Europeo, una rivista famosa soprattutto per i suoi grandi reportage, che decise di pubblicarlo a propria volta. Iniziò così una collaborazione saltuaria con uno delle più prestigiose riviste italiane: nel 1954 l'allora direttore Michele Serra decise di assumerla a tempo pieno, dando inizio a un sodalizio che sarebbe durato fino al 1977. Risale al primo periodo all'Europeo il volume I sette peccati di Hollywood, che Oriana scrisse dopo un periodo a Los Angeles; la prefazione del libro fu firmata da Orson Welles. Tornata in Italia da Hollywood, nel 1958 Fallaci scoprì di essere rimasta incinta del proprio compagno, il giornalista trentino Alfredo Pieroni, storica penna del Corriere dalla Sera: poco dopo subì un aborto spontaneo che mise a rischio la sua stessa vita e che la gettò in una profonda depressione. Il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato un approfondimento a questa vicenda della vita di Oriana Fallaci: se vuoi leggerlo, clicca qui.
Lavorando per L'Europeo, Oriana Fallaci in poco tempo cominciò a farsi notare sia per le proprie doti di scrittrice che per quelle di intervistatrice: nel campo delle interviste si può addirittura parlare di un vero e proprio metodo Fallaci, affinato nel corso degli anni per approfondire e destabilizzare i propri interlocutori: le interviste venivano lungamente studiate a tavolino, cancellate e riscritte per arrivare al cuore dell'intervistato e per metterlo in crisi, attraverso un sapiente equilibrio dell'uso seduttivo e aggressivo della parola.
«Per esser buona un’intervista deve infilarsi, affondarsi, nel cuore dell’intervistato», avrebbe scritto in Oriana Fallaci intervista sé stessa - l'Apocalisse, volume pubblicato nel 2004 e poi edito nuovamente, postumo, nel 2014, con diverse aggiunte al testo originale. All'inizio degli anni Sessanta, L'Europeo la mandò in Oriente e in Medio Oriente per tracciare un reportage sulla condizione femminile: ne uscì, nel 1961, l'apprezzato Il sesso inutile. Viaggio intorno alla donna.
Oriana Fallaci, appena trentenne, aveva ormai conquistato un suo ruolo come giornalista, narratrice e viaggiatrice - un compito di solito riservato agli uomini, ma che lei dominava con peculiare destrezza e carattere. Nonostante una vita privata travagliata e dolorosa - è a questo periodo che risale un secondo aborto spontaneo, che la indusse a scrivere una prima bozza di quello che poi sarebbe diventato Lettera a un bambino mai nato, di cui vi ho parlato approfoditamente in questo articolo - il suo temperamento combattivo la indusse a concentrare le sue forze sul lavoro e a eccellere. È del 1965 Se il sole muore, un resoconto coinvolgente della sua vita presso le basi della NASA, al fianco degli astronauti che fecero la storia dell'esplorazione del Sistema Solare.
Ma fu il 1967 l'anno della svolta: Fallaci chiese, e ottenne, di essere spedita in Vietnam, per constatare di persona lo svolgimento del conflitto. Tra il 1967 e il 1975 vi continuò a tornare per lunghi periodi, scrivendo molteplici reportage per L'Europeo. L'uscita, nel 1969, del suo libro Niente e così sia, che raccontava un anno di guerra in Vietnam, la consacrò a giornalista-scrittrice senza eguali, capace di fare informazione inserendo nella narrazione anche dettagli privati, osservazioni-confessioni dei protagonisti sul campo e un lato umano tragico e profondissimo che tramutava il giornalismo in letteratura.
Tra gli anni Sessanta e Settanta Fallaci fu testimone attenta di tutti i fatti internazionali di maggior rilevanza: nel 1968, alla vigilia delle Olimpiadi a Città del Messico, venne coinvolta nella strage di Piazza delle Tre Culture, dove quasi morì (fu infatti anche portata in obitorio, dove si risvegliò dopo essere stata gravemente ferita); osservò la rivolta degli afro-americani a Detroit in seguito all’uccisione di Martin Luther King; approfondì cause e dinamiche della morte di Bob Kennedy, analizzò il conflitto indo-pachistano, seguì la situazione mediorientale e intervistò personaggi politici apparentemente inarrivabili. A questi incontri straordinari seguirono opere indimentaicabili come Intervista con la storia, Intervista con il Potere, Saigon e così sia, 1968. Dal Vietnam al Messico. Diario di un anno cruciale e Intervista con il mito. Nonostante la sua penna implacabile, essere intervistati da Oriana Fallaci cominciò a diventare segno di grande prestigio, da cui quasi nessun uomo di potere riusciva ad esimersi.
L'intervista di Oriana Fallaci allo Ayatollah Khomeini nel 1979
Nel 1973 Oriana Fallaci incontrò il grande amore della sua vita, Alexandros Panagulis, leader dell'opposizione greca al regime dei colonnelli e perseguitato politico. Il loro rapporto, caratterizzato da una grande passione fisica e intellettuale, si distinse anche per le lettere brucianti che Fallaci scrisse al suo compagno, a cui il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato un approfondomento in questo post. La relazione con Panagulis, che era stato anche incarcerato e torturato, durò fino al 1976, quando lui morì in un misterioso incidente stradale. Fallaci, che era stata legata a lui dall'amore, dall'amicizia, da una profonda stima e dalla passione, rimase profondamente turbata dalla sua morte, dalla quale faticò a riprendersi. Di lui era anche anche rimasta incinta, ma aveva nuovamente perso il bambino in un aborto spontaneo.
In Lettera a un bambino mai nato, che fu pubblicato nel 1975 e divenne presto un successo planetario che la consacrò agli occhi di tutti come grandissima autrice, Oriana espresse il suo dolore per quella perdita, con cui purtroppo si era già misurata altre volte, attraverso un monologo al figlio perduto; il romanzo si inserì anche nel dibattito sull'aborto che in quegli anni divideva l'Italia, analizzando le conseguenze della maternità nella vita di un donna che abbia anche una carriera. Il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato un approfondimento speciale alla genesi e al destino di Lettera a un bambino mai nato: se vuoi leggerlo, clicca qui.
Risale invece al 1979 la pubblicazione di Un uomo, dedicato alla figura di Panagulis: subito dopo la sua morte, Fallaci si ritirò nella casa familiare nel Chianti per scrivere la sua biografia, che doveva restituire memoria all'uomo amato attraverso il racconto della sua lotta politica, vissuta fino in fondo e al costo di rinunciare alla possibilità di una vita "normale". Lettera a un bambino mai nato e Un uomo sono i due libri più autobiografici dell'autrice e anche tra le sue opere più amate dalla critica e dal pubblico.
Oriana ormai era un'autrice conosciuta e apprezzata a livello planetario. I suoi pezzi venivano pubblicati regolarmente su Life e sul New York Times Magazine, su Look e sul Washington Post, su Newsweek o Le Nouvel Observateur, su Le Figaro littéraire o Der Stern. Il Columbia College di Chicago le assegnò una laurea ad honorem in letteratura nel 1977, mentre le università statunitensi si contendevano il suo nome per diverse lectio magistralis. All'inizio degli anni Ottanta, la sua vita si divideva tra Firenze e New York, dove prese casa nonostante la lontananza accrescesse la sua nostalgia per la sua terra. Nel 1990, ben undici anni dopo aver dato alle stampe Un uomo, Fallaci tornò in libreria con Inshallah: un romanzo corale che aveva nuovamente come sfondo la guerra, quella civile in Libano, a cui nel 1982 aveva partecipato anche l'Esercito Italiano in missione di pace. Proprio il contingente italiano era protagonista del libro, dove il senso di vita, odio e morte, raccontati dai vari protagonisti del romanzo, venivano trasfigurati sullo sfondo di un tema che sarebbe diventato uno dei cavalli di battaglia dell'autrice nella sua maturità: il fondamentalismo islamico.
L'inizio degli anni Novanta fu anche l'inizio di una nuova guerra per Oriana: quella con il cancro. La giornalista, che chiamava la sua malattia "l'Alieno", ovvero un'entità personalizzata, riconoscibile e che perciò poteva combattere, alla fine della sua vita rinunciò a molte cure per contrastarla, perché nel frattempo aveva deciso di dedicarsi al libro definitivo, quello che avrebbe raccontato la sua storia e quella della sua famiglia, da cui non voleva né poteva essere distolta: si trattava di Un cappello pieno di ciliege, che espone la storia della famiglia Fallaci a partire dalla fine del XVIII secolo fino alla fine del XIX. Purtroppo l'autrice non riuscì mai a completare quest'opera, che infatti fu pubblicata postuma e parzialmente incompleta due anni dopo la sua morte.
Dalla stesura del suo romanzo definitivo la distolsero anche gli eventi dell'11 settembre 2001. In seguito agli attacchi terroristici che misero in ginocchio New York, la città che da almeno dieci anni l'aveva adottata, Fallaci, che aveva come unico obiettivo quello di terminare il suo libro, non riuscì a resistere al richiamo di scrivere una lettera all'Italia e all'Occidente, che il 29 settembre di quello stesso anno fu pubblicata per la prima volta sul Corriere della Sera e fu presto tradotta in molteplici lingue straniere. La lettera, riassunta per il quotidiano, fu pubblicata in un pamphlet intitolato La rabbia e l'orgoglio, in cui l'autrice analizzava gli attriti e i dilemmi scaturiti dallo scontro tra Islam e Occidente; secondo la scrittrice, non era possibile immaginare una pacifica convivenza tra un Islam ottuso e un Occidente, pavido e stanco e incapace di difendersi, che agli attacchi aveva il dovere di reagire con rabbia e razionalità.
Sebbene Oriana Fallaci avesse scelto da molti anni di vivere una vita ritirata, la pubblicazione di La rabbia e l'orgoglio la distolse dalla scrittura del suo libro: da un lato, si sentiva chiamata a seguire la traduzione della sua nuova opera nelle varie lingue in cui fu tradotta; dall'altro, il suo ritorno nell'agone internazionale la indusse a tornare a partecipare alla discussione delle maggiori questioni che all'inizio del millennio accendevano il dibattito internazionale: dal terrorismo islamico all'eutanasia, dall'antisemitismo alla ricerca scientifica, tornò a far esplodere la propria voce, anche con ulteriori pubblicazioni rivolte alla coscienza degli occidentali, come La forza della ragione. Le radicali prese di posizione di Fallaci nell'ultimo periodo della sua vita innescarono molta ammirazione da parte dei suoi sostenitori ma, contemporaneamente, anche polemiche e sdegno da parte dei suoi oppositori.
Nell'agosto del 2006 le sue condizioni di salute si aggravarono, tanto che fu Oriana stessa a chiedere di essere trasportata in Italia Da New York. Voleva morire a Firenze, nella sua terra, e così accadde a metà di settembre: a settantasette anni spirò, dopo una lunga malattia, nella casa di cura Santa Chiara, da cui l'autrice poteva posare gli occhi sulla cupola del Duomo di Firenze. Fu sepolta nel cimitero degli Allori della sua città, accanto a una lapide che recita «Oriana Fallaci. Scrittore» e a una stele commemorativa di Alekos Panagulis, il grande amore della sua vita.
Feconda scrittrice, perfezionista della parola, Fallaci aveva un archivio smisurato di scritti inediti, che i suoi eredi continuano a pubblicare ancora oggi, al ritmo di un nuovo volume all'anno. Per sua volontà gran parte dei suoi libri è stata donata alla Pontificia Università Lateranense di Roma, assieme ad alcuni cimeli - come ad esempio lo zainetto usato in Vietnam - particolarmente rappresentativi della sua storia.
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