Lo studio delle emozioni è un campo piuttosto recente della psicologia moderna. Trattandosi di fenomeni psichici altamente soggettivi, per lungo tempo sono state quasi ignorate dalla ricerca scientifica, in quanto era complicato trovare un sistema per misurarle in maniera oggettiva. Le emozioni possono essere sia coscienti - ovvero percepite, riconosciute e comunicabili - che inconsce; in quest'ultimo caso uno stato emotivo può avere effetti sulla vita quotidiana senza che ci sia dato capirne il perché.
In questo senso, non è un caso che per la prima volta la correlazione tra memoria ed emozione venga affrontata da Sigmund Freud (1856-1939), il fondatore della psicanalisi e lo scopritore dell'incoscio. Nella psicanalisi di Freud l'argomento viene affrontato per la prima volta in maniera sistematica col concetto di rimozione, ovvero quel meccanismo psichico per cui un ricordo spiacevole - o meglio ancora: un trauma - viene eliminato dalla coscienza perché il suo ricordo sarebbe troppo doloroso. Freud parla di rimozione nella sua Metapsicologia, ma anche in Psicopatologia della vita quotidiana, dove analizza altri fenomeni legati a quello della rimozione, come i lapsus e gli atti mancati. Il paziente che abbia messo in moto meccanismi difensivi di rimozione guarisce, secondo Freud, quando torna a ricordare il proprio rimosso, a elaborarlo in uno stato cosciente e a integrarlo nel suo Io. Insomma, per Freud ciò che è connesso a un'emozione spiacevole viene dimenticato. Ma questa nozione, anche se certo vera in alcuni casi, certo non può risolvere la relazione tra memoria ed emozioni.
Un importante contributo alla teoria della memoria in psicanalisi fu data, tra gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, dal professor David Rapaport (1911-1960), ungherese, naturalizzato statunitense e figura di spicco della psicologia clinica e della psicanalisi moderna. Autore di Affettività e pensiero nella teoria psicoanalitica, Rapaport fu uno dei primi a sostenere in maniera sistematica che la memoria è, in generale, organizzata secondo principi affettivo-emozionali: ciò significa che le emozioni che proviamo mentre viviamo un dato evento determinano il modo in cui lo ricorderemo in futuro; e che è dunque possibile, per esempio, ricordare con ansia un ricordo apparentemente felice, perché ciò che conta non è la trama del ricordo, ma l'emozione che provavamo quando abbiamo vissuto quell'esperienza specifica. In Emotions and Memory (pubblicato nel 1942 e di cui non esiste un'edizione in italiano; cliccando qui però se ne può leggere una versione online) Rapaport sostiene non solo che la memoria immagazzinata, ma che anche quella riprodotta è influenzata dalle emozioni: insomma, anche se ci sembra di ricordare un evento della nostra vita alla perfezione, è possibile che le emozioni che proviamo nel presente influenzino la natura del nostro ricordo, rendendolo meno esatto di quanto saremmo portati a credere.
Lo studio delle emozioni ha fatto passi da gigante soprattutto a partire dalla fine del secolo scorso, con studi che finalmente cercavano di analizzare la relazione tra memoria ed emozione in maniera globale, mettendo in relazione l'esperienza emotiva ai processi cognitivi in generale. Come viene spiegato anche dalla professoressa Mariella Ciambelli in Memoria ed Emozioni, la memoria autobiografica è sempre, in ogni caso, profondamente suscettibile alle emozioni. Una memoria sarà tanto più presente alla nostra coscienza quanto più forte sarà l'intensità emotiva che suscita in noi: e questo vale sia per quanto riguarda le emozioni positive che quelle negative.
Oggi sappiamo che le esperienze positive rimangono impresse nella nostra memoria in maniera più profonda rispetto a quelle negative. Certo, un vissuto triste continuerà a venire a trovarci, a disturbarci, a ossessionarci regolarmente, ma sono le memorie felici, quelle che ci danno soddisfazione, a imprimersi nella nostra coscienza in maniera più duratura. È proprio per questo che legare emozioni positive a contenuti che vogliamo imparare ci permette di ritenere quelle informazioni con maggiore facilità (come ci aveva già spiegato anche il professor Pagano nel video che il blog de Il Tuo Biografo ha pubblicato in questo articolo). In fondo, il cervello, la memoria e le emozioni sono al servizio della vita: da un punto di vista adattivo, non stupisce che vi sia questa propensione alla positività.
Eppure, quando attraversiamo un periodo difficile, ci capita che ricordi tristi o traumatici del nostro passato tornino a galla. Ci sembra che la realtà sia questa, che la verità stia nella tela intricata delle nostre memorie dolorose: questo ci capita perché, quando ci troviamo in uno stato emotivo particolarmente intenso, ci è più facile ricordare contenuti che si rifanno a un'esperienza immagazzinata durante uno stato emotivo simile. Questo fenomeno, chiamato "memoria dipendente dallo stato affettivo", in realtà ci permette di compiere un utile lavoro di valutazione di noi stessi, della nostra vita e del nostro percorso. In poche parole, ci spiana la strada verso una riflessione autobiografica, che tenga conto di tutti gli elementi - facili o difficili - che ci hanno condotti dove siamo oggi.
Nei momenti di crisi ripassare i momenti salienti della nostra esistenza può essere uno strumento di vitale importanza per guarire dalle nostre malinconie. Ripercorrere a ritroso il nostro viaggio nella vita, individuare connessioni, dare un senso a ciò che abbiamo vissuto - e a ciò che è importante: ovvero a ciò che è rilevante da un punto di vista emotivo - ci permette di affrontare il presente con più consapevolezza. Perché, in fondo, ciò che sappiamo spiegare a noi stessi - e, a volte, anche agli altri - è qualcosa che, con un po' di coraggio, potremmo anche riuscire ad affrontare.
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