Samuel Beckett (1906-1989) è stato uno dei maggiori intellettuali del Novecento, è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1969 ed è famoso soprattutto per il suo capolavoro Aspettando Godot: e dunque per essere stato uno delle maggiori voci del teatro dell'assurdo. Nacque a Dublino dai protestanti William Beckett, stimato ispettore edile, e Mary Roe, e fu il secondogenito di due figli.
Fu un ottimo studente e ben presto si distinse per il suo amore per lo studio delle lingue straniere e per le sue abilità sportive, in particolare nel cricket; terminati gli studi superiori, nel 1923 si iscrisse al corso di laurea in Lettere del Trinity College di Dublino, la più prestigiosa università d'Irlanda, dove si appassionò soprattutto allo studio dell'italiano - fu un entusiasta lettore di Dante - e del francese. Al periodo universitario risale anche il suo grande amore per il cinema (era un estimatore di Charlie Chaplin - del resto lo è anche il blog de Il Tuo Biografo: cliccando qui potete leggere gli articoli che gli abbiamo dedicato - di Buster Keaton e dei fratelli Marx) e per la pittura. Prima di laurearsi con lode nel 1927, per perfezionare la conoscenza delle lingue straniere d'estate viaggiò in Francia e in Italia, dove visitò Firenze e Venezia. Per tutta la sua vita, Samuel Beckett visse, oltre che grazie alle sue opere, delle traduzioni letterarie che traspose sia dall'inglese che dal francese.
Tornato in Irlanda, iniziò la sua carriera d'insegnante come professore di inglese e di francese al Campbell College di Belfast, la più grande scuola privata dell'Irlanda del Nord. Alla fine del 1928 si trasferì in Francia e assunse la carica di lettore di francese all'École Normale di Parigi, dove fece conoscenza di un autore che amava molto, il conterraneo James Joyce, che aveva già pubblicato il suo Ulisse qualche anno prima. Joyce si prese a cuore il destino di questo giovane intellettuale e gli chiese di collaborare alla stesura, alla traduzione e alla correzione delle bozze del suo interminabile Work in Progress, che più di dieci anni dopo - nel 1939 - sarebbe stato pubblicato col titolo di Finnegans Wake (o, in italiano, La veglia per Finnegan). In questo periodo, a Parigi, Samuel Beckett strinse amicizia con la pianista Suzanne Dusmenil-Descevaux, che anni dopo sarebbe divenuta la sua compagna di vita. Cominciò a pubblicare i suoi primi lavori, fortemente influenzati dalla ricerca per l'erudizione e dal maestro James Joyce, con cui il rapporto si mantenne acceso e quasi quotidiano fino al 1930, quando Beckett rifiutò l'amore della figlia di Joyce, Lucia, che tra l'altro al tempo mostrava già i primi segni di una profonda instabilità psicologica. In seguito a quest'evento, la relazione tra i due scrittori si raffreddò sensibilmente.
Alla fine del 1930, scaduto il contratto con l'École Normale, Beckett tornò in Irlanda, dove fu nominato assistente di francese nella stessa università in cui si era laureato, il Trinity College. Tornare a casa gli diede maggiori opportunità di frequentare la sua famiglia: mentre col padre il rapporto si fece più vivo e profondo, con la la madre erano frequenti accesi litigi, per lo più causati dall'avversione della donna per l'attività letteraria del figlio, che la scandalizzava. Beckett finì per stabilirsi al Trinity College, dove però soffriva l'eccessiva pedanteria dell'ambiente accademico. Nel 1933 William Beckett, il padre, morì d'infarto, lasciando a Samuel una rendita annuale di 200 Sterline. Grazie a essa lo scrittore si trasferì a Londra, dove - col fine di contrastare le crisi di panico che avevano preso a disturbare le sue notti - iniziò un percorso di psicoterapia. Beckett cominciò a interessarsi di psicanalisi e lesse soprattutto le opere di Freud e di Jung; nel 1935 ebbe anche modo di incontrare quest'ultimo, dal quale rimase molto impressionato. Risale a questo periodo la stesura e la pubblicazione del romanzo Murphy, che scrisse prima in inglese e poi in francese, un'opera giovanile che ancora scontava forti influenze joyciane.
Tra il 1936 e il 1937, Samuel Beckett intraprese un lungo viaggio nella Germania di Hitler, dalla cui politica rimase colpito negativamente (un resoconto delle sue impressioni al riguardo è ben restituito dalla bellissima biografia di James Knowlson, autore di Samuel Beckett. Una vita, edito in Italia da Einaudi). Nel suo tour, oltre a rinverdire il suo tedesco, Beckett voleva studiare meglio l'arte e perciò gran parte del viaggio fu dedicato alla visita dei musei. Tornato a Dublino, ricominciarono i litigi con la madre, che non approvava il suo stile di vita. Beckett decise di trasferirsi definitivamente a Parigi. Nel gennaio del 1938, mentre tornava a casa di notte nella capitale francese, senza alcun motivo apparente Beckett venne accoltellato per strada da un magnaccia: durante il processo, l'uomo di strada ammise di averlo fatto per caso, senza nessuna ragione particolare. Beckett, nonostante il ferimento, trovò l'uomo molto simpatico e finì per diventargli amico. La notizia dell'accoltellamento venne subito pubblicata sui giornali e al suo capezzale accorsero subito sia James Joyce, con cui il rapporto tornò a intensificarsi, che Suzanne Dusmenil-Descevaux, con la quale iniziò un amore che da quel momento in poi sarebbe durato tutta la vita.
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, Beckett si trovava a Dublino per una visita alla madre. Pur essendo cittadino di uno Stato che sarebbe rimasto neutrale durante tutto il conflitto, decise comunque di tornare in Francia. Non solo preferiva «la Francia in guerra, che l'Irlanda in pace», ma addirittura a un amico scrisse che, se il conflitto fosse arrivato anche a Parigi, «mi metterò a disposizione di questo Paese». E infatti così fece. Per tutta la durata della guerra, Samuel Beckett, affiancato dalla sua Suzanne, si unì alla resistenza francese. Al termine del conflitto fu insignito dal Governo di diversi premi per la sua attiva opposizione al nazifascismo.
A partire dal 1946, tornò a vivere stabilmente a Parigi, dove Samuel e Suzanne trovarono il loro appartamento «miracolosamente intatto». Per Beckett iniziò un periodo di febbrile e rinnovata produzione letteraria. Lo scrittore abbandonò le influenze esterne per semplificare struttura e linguaggio delle sue opere, che da quel momento in poi compose direttamente in francese. Egli riteneva infatti che quando stendeva le sue opere in francese gli fosse più facile essere secco e scrivere «senza stile», mentre in inglese gli era impossibile «non fare poesia»; senza contare che, dati i difficili rapporti con la madre, che sarebbe morta nel 1950, abbandonare l'inglese in favore del francese rispondeva in senso letterario alla decisione esistenziale di lasciare l'Irlanda - dove l'amata/odiata madre viveva - per trasferirsi in Francia. Nel decennio successivo alla fine della guerra, Beckett per la prima volta si accinse al mondo teatrale - Aspettando Godot fu pubblicato nel 1952 e venne rappresentato per la prima volta l'anno successivo - e compose i suoi massimi capolavori in prosa, quelli della Trilogia: Molloy, Malone muore e L'innominabile.
Samuel Beckett dirige Billie Whitelaw, una delle sue attrici preferite, in Giorni Felici al Royal Court Theatre di Londra nel 1979
Dopo anni di affiancamento del suo maestro James Joyce, Samuel Beckett, finalmente diventato letterariamente maturo, finì per distanziarsi profondamente dal suo mentore. Mentre Joyce concepiva la letteratura come totale e totalizzante, quella di Beckett divenne presto un modello di assenza di senso, o di disgregazione di senso e di identità, di inafferrabilità di un tutto che il linguaggio non poteva comunicare. Perciò, nel corso dl tempo, lo stile di Beckett divenne sempre più asciutto, rigoroso e caratterizzato da un'economia espressiva a tratti spiazzante per il lettore. Questo vale per i suoi romanzi, per la poesia, ma soprattutto per il teatro, a cui a partire dagli anni Ciquanta si dedicò alacremente, realizzando opere come Finale di partita (1956), L'ultimo nastro di Krapp (1958), Giorni felici (1960), Commedia (1963).
Negli anni Sessanta si dedicò al teatro, sia come scrittore, che come traduttore che come regista. A quest'attività affiancò anche produzioni per la radio, il cinema e la televisione - nel 1964 lavorò anche con Buster Keaton nel cortometraggio Film, di Alan Schneider. Oltre che in francese, dopo la morte della madre ricominciò a comporre le sue opere anche in inglese - talvolta sentiva che una lingua fosse preferibile all'altra, ma finalmente s'era dato di nuovo la possibilità di scegliere tra le due. Alla soglia dei sessant'anni cominciarono a farsi sentire i primi problemi di salute, tra cui un forte abbassamento della vista. Nell'autunno del 1969 si trovava in vacanza a Tunisi con Suzanne - che aveva sposato quasi in segreto nel 1961 - quando lo raggiunse la notizia di aver vinto il Premio Nobel per la letteratura, che lo scrittore accolse esclamando «Quelle catastrophe!», temendo che la notorietà interferisse con la sua vita privata e la sua attività di scrittore. Il premio gli fu conferito «per la sua scrittura, che - nelle nuove forme per il romanzo ed il dramma - nell'abbandono dell'uomo moderno acquista la sua altezza» e a Stoccolma andò a ritirarlo il suo editore francese.
Tra gli anni Settanta e gli Ottanta Beckett si dedicò ormai soprattutto al teatro, abbandonando definitivamente la prosa. Ogni volta in cui provava ad accingersi nuovamente alla forma del romanzo, gli sembrava di lavorare su «un mucchio di cenere». Nonostante i problemi medici che lo attanagliavano - tra il 1987 e il 1988 cadde due volte e fu ricoverato in ospedale a Parigi - compose nuove diverse opere e altrettante ne tradusse: da Non io (1972) a Quella volta (1975), da Dondola (1980) a Fremiti fermi (1988). Nel 1989 tradusse in inglese la poesia Comment dire (ovvero What is the Word, in italiano Qual è la parola). A ottantatre anni, fu il suo ultimo atto letterario. Nel luglio del 1989 morì Suzanne e di lì a poco, a dicembre dello stesso anno, si spense anche Samuel Beckett. I due sono sepolti a Parigi nel cimitero di Montparnasse e condividono - secondo i desideri dell'autore - una semplice lapide di granito, «senza colori, lunga e grigia».
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