Di Alda Merini (1931-2009) poetessa si parla molto, e a ragione. Dei suoi lavori in prosa, che sono per lo più profondamente autobiografici, un po' meno. Eppure la loro profondità lirica, oltre che la lucidità con cui sono scritti, li rendono senza dubbio una lettura che non può lasciare indifferenti.
Alda Merini ebbe una vita sofferta, perché segnata da disturbi psichiatrici che più volte, e per molto tempo, la condussero in manicomio. Il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato un dettagliato approfondimento sull'evoluzione dei manicomi in Italia all'epoca in cui Alda Merini vi fu internata, restituendo lo sfondo in cui ella si trovò a vivere. Se volete leggerlo, lo trovate cliccando qui.
Figlia di un impiegato assicurativo affettuoso ma rigoroso e di una casalinga severa e distante, la giovane Alda mostrò subito un'innata inclinazione per la poesia, che fu presto sedata sul nascere dalla sua famiglia (perché «con la poesia non si mangia»). Nonostante il carattere stravagante, fu sempre un'ottima alunna. Avrebbe voluto studiare, ma i genitori ritenevano che il destino di una donna fosse quello di moglie e madre e infatti, ad appena ventidue anni, la futura poetessa si legò in matrimonio a Ettore Carniti, operaio e sindacalista milanese, oltre che futuro padre delle sue quattro figlie.
Merini fu ricoverata in una clinica per la prima volta nel 1947, a sedici anni, e fu in quella occasione che le venne diagnosticato un disturbo bipolare. Vi rimase per un mese. Già madre delle sue prime due figlie, fu internata per volere del marito nel 1964, ma in questo caso la sua permanenza in psichiatria durò molto più a lungo: vi rimase per ben otto anni, cioè fino al 1972. In quel periodo entrò e uscì dal manicomio a più riprese, tanto che riuscì a dare alla luce le sue due ultime figlie, che, a causa dell'istabilità psichica della madre, nei primi tempi dovettero essere affidate ad altre famiglie. Dopo anni di lungo silenzio, Merini riprese a scrivere solo nel 1978. Cinque anni dopo morì suo marito Ettore e nel 1984 la poetessa si risposò con l'anziano medico in pensione e poeta Michele Pierri, col quale era in contatto da qualche mese e con cui da Milano si trasferì a Taranto.
Fu proprio a Taranto che Alda Merini ultimò la stesura di L'altra verità. Diario di una diversa, nel quale la poetessa racconta - a modo proprio: cioè in una prosa lucida ma evocativa, di tanto in tanto inframmezzata da versi poetici - i suoi terribili anni trascorsi in manicomio. Merini vi entrò con l'animo ancora innocente, ma ne uscì completamente cambiata: la privazione di ogni libertà, la pratica di procedure mediche invasive come l'elettroshock, il senso di totale distacco dal proprio corpo, che ormai non sentiva più suo, furono esperienze che la segnarono per sempre. E, nonostante questo, nell'inferno del manicomio, ormai completamente emarginata, la poetessa imparò a godere della libertà del suo spirito, per cui non c'erano catene, e ad amare ancora la vita e la pura percezione di ogni cosa esistente.
«Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio [...] ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose a mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall'immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò di meglio che chiamare un'ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all'uomo e che l'uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire. Fui quindi internata a mia insaputa, e io nemmeno sapevo dell'esistenza degli ospedali psichiatrici perché non li avevo mai veduti, ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire».
L'altra verità. Diario di una diversa fu pubblicato nel 1986 dall'editore Scheiwiller. Rappresentò il primo lavoro in prosa di Alda Merini, che per descrivere la sua esperienza - e concedere al lettore di immergervisi a sua volta - usò la forma letteraria del diario, accostandola a versi poetici e a epistolari. Del volume nel 1997 uscì una nuova edizione curata da Rizzoli, a cui venne aggiunta una Conclusione, delle Aggiunte in margine, oltre che alcuni componimenti poetici.
Alda Merini si cimentò nuovamente col genere autobiografico proprio negli anni Novanta: nel 1995 pubblicò La pazza della porta accanto, edito da Bompiani, ovvero un testo che racconta la sua vita - anche in questo caso nella sua splendida prosa lirica - attraverso un accostamento di note e pensieri che si legano uno all'altro in un flusso di coscienza. Il volume tratta temi come l'amore, la famiglia, la poesia e la follia. In calce all'opera è riportato un dialogo con Alda Merini da cui si possono desumere molte notizie biografiche sul suo conto. Nel 1996 invece uscì per l'editore La Vita Felice il testo Un'anima indocile, una raccolta di racconti, pagine di diario e poesie che intendeva svelare le lucide contraddizioni dell'universo poetico meriniano.
Sempre negli anni Novanta, nel pieno della sua produzione poetica, Alda Merini sperimentò sovente la tecnica della poesia spontanea in forma orale, che altri trascrivevano mentre lei declamava (ne sono un esempio poetico i versi contenuti in Aforismi e magie). In questo filone si situa il volume autobiografico Reato di vita. Autobiografia e poesia, che Merini dettò a Luisella Veroli, la sua prima biografa e autrice anche di Alda Merini. Ridevamo come matte, che ripercorre la stesura del primo libro e che fu pubblicato due anni dopo la morte della poetessa, avvenuta nel 2009; in Reato di vita Merini trasmise alla sua intrlocutrice pensieri in libertà su quello che riteneva essere appunto il suo reato peggiore: quello d'aver voluto vivere. La forma orale contraddistingue anche un'ultima altra opera autobiografica della poetessa, ovvero Sono nata il ventuno a primavera. Diario e nuove poesie: qui a interloquire con l'autrice è Piero Manni, che registrò il suo dialogo con lei riportandolo in queste pagine, che, come sempre, sono corredateanche anche dai versi della poetessa.
Alda Merini cercò senza dubbio di incanalare la sua vita infelice nella bellezza della poesia. Proprio per questo, conoscere meglio la sua biografia - soprattutto se raccontata direttamente da lei - può aiutare a comprendere più profondamente il suo doloroso e delicato universo.
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Se vuoi conoscere in che modo è stata trattata la malattia mentale in Italia tra la fine dell'Ottocento e la seconda metà del Novecento, il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato a questo argomento - la «storia della follia in Italia» - un approfondimento che se vuoi leggere trovi qui.
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