Black Lives Matter, abbreviato spesso con BLM, è un movimento internazionale, nato negli Stati Uniti nel 2013, il cui motto significa «Le vite dei neri contano». Come indicato sul sito ufficiale di Black Lives Matter, il fine del movimento è quello di affermare e difendere la pari dignità della vita di tutti coloro che, per ragioni di sesso, razza o salute sono spesso marginalizzati dalla società: ovvero di donne, persone LGBT, persone affette da ogni tipo di disabilità e naturalmente di persone dalla pelle nera.
La storia culturale del movimento affonda le radici nel passato remoto degli Stati Uniti - basti pensare che i primi africani furono deportati come schiavi nella prima colonia inglese del Nord America, la Virginia, nel lontano 1619, come spiega bene il saggio Storia della schiavitù in Africa, di Paul E. Lovejoy - passando per un lento riconoscimento dei diritti umani e civili della comunità afroamericana: se tra il 1830 e il 1850 tutti gli Stati americani del Nord abolirono la schiavitù, fu solo con la fine della Guerra Civile Americana tra Stati del Nord e Stati del Sud che, in tutto il Paese, la schiavitù fu definitivamente abolita: era il 1865, cioè appena poco più di 150 anni fa.
Ciò tuttavia non tolse lo stigma della discriminazione verso i neri, tanto che, almeno fino ai primi decenni del Novecento, negli Stati Uniti del Sud il linciaggio dei neri da parte dei suprematisti bianchi - che in molte regioni erano la maggioranza - era una pratica comune, accettata e non perseguita, il cui fine era esercitare il controllo sociale. Affinché agli eventi presenziasse un gran numero di spettatori, spesso i linciaggi venivano annunciati in anticipo sui giornali locali. Nessuno veniva mai incriminato. Grazie alla nascita della fotografia, divenne comune per molti bianchi inviare ad amici e parenti le cartoline che raffiguravano i linciaggi a cui avevano assistito. L'editor esperto di fotografia Richard Lacayo rammenta infatti in un articolo pubblicato su Time che in quel periodo «le scene di linciaggio si svilupparono presto in un sottogenere in rapida espansione nell'industria della cartolina. Nel 1908 il loro commercio era cresciuto così tanto, e la pratica di inviare cartoline con le vittime degli assassinii di massa era diventata tanto ripugnante, da costringere il direttore generale delle poste degli Stati Uniti d'America a proibirne l'invio per posta». Insomma, appena cent'anni fa per molti statunitensi di origini europee era scontato che esistesse una profonda differenza di valore tra la vita di un bianco e quella di un nero.
Pur in modo meno cruento, in seguito all'abolizione della schiavitù nel 1865, i neri d'America continuarono a essere discriminati a livello istituzionale ancora per molti anni. Infatti per un altro secolo sopravvisse la segregazione razziale, che era accettata dalla legge e che regolava la vita sociale separando fisicamente i bianchi dai neri. Fino a oltre la metà del Novecento era dunque legale che in un locale pubblico una persona afroamericana non potesse entrare né essere servita, o, per quanto riguarda alcuni diritti fondamentali, come l'accesso allo studio nell'età della scuola dell'obbligo o a quello alle cure sanitarie, esistevano istituzioni per bianchi e altre per neri; nel frattempo era normale che a uno studente afroamericano promettente non venisse riconosciuto il diritto di studiare in un'università di eccellenza, in cui i neri - al di là di qualsiasi merito personale - non erano accettati. La separazione era addirittura praticata nell'esercito, in cui le unità militari nere erano distinte da quelle dei bianchi, anche se naturalmente erano rigorosamente comandate solo da ufficiali bianchi. Ai neri, in generale, non era dato accesso a professioni di prestigio e, quando in rare occasioni questo avveniva, un afroamericano poteva solo avere come clienti e colleghi altri afroamericani, soprattutto negli Stati del Sud.
Nel corso degli anni Sessanta del Novecento questa situazione portò alla formazione di un movimento per i diritti civili, guidato dal reverendo Martin Luther King, le cui frange più estreme - incarnate dalle Pantere Nere, che invece si rifacevano alla predicazione di intellettuali come Malcom X - in alcuni casi arrivarono a mostrare dissenso anche in rivolte violente. La segregazione razziale fu definitivamente abolita dalla legge solo dal presidente Lyndon Johnson col Civil Rights Act, nel 1964, cioè meno di sessant'anni fa. Naturalmente, come spesso accade, la promulgazione di una legge, ancorché giusta e lungo cercata, non può cambiare all'improvviso la cultura di un popolo, né la sua forma mentis. Per quello ci vuole tempo, educazione e cultura. È dunque legittimo affermare che tutt'oggi negli Stati Uniti - e non solo, naturalmente - persista un pregiudizio nei confronti di chi non è WASP, con risvolti talvolta profondamente tragici.
Il movimento Black Lives Matter nacque in una di queste circostanze. Nel febbraio del 2012 un giovane diciassettenne afroamericano di nome Trayvor Martin si trovava in vacanza a Sanford, in Florida, col padre. Secondo le ricostruzioni forensi, una sera, tornando a casa dal supermercato dove aveva comperato una bibita, fu avvistato dall'assicuratore George Michael Zimmerman, un civile e un vigilante di quartiere che lo ritenne sospetto e lo fermò per inquisirlo. Dopo un acceso alterco, nonostante il ragazzo fosse disarmato, Zimmerman gli sparò un colpo di pistola, ferendolo mortalmente. Il ragazzo impiegò dieci minuti a spirare. Dopo poco più di anno da quell'evento, il 13 luglio del 2013, Zimmermann, che aveva sempre sostenuto di aver agito per autodifesa, fu dichiarato innocente da una giuria di pari. I manifestanti che nei mesi precedenti si erano battuti contro l'ingiustizia che era toccata a Trayvor Martin si organizzarono allora in un nuovo movimento e lo chiamarono Black Lives Matter, «le vite dei neri contano». Troppi a loro parere erano stati i casi in cui l'uccisione di un afroamericano, magari giovane e disarmato come Trayvor, finivano per essere glissati come una fatalità che non reclamava giustizia.
Dal 2013 al 2020, in un crescendo di tensioni che vedevano, da un lato, la comunità afroamericana e, dall'altro, il corpo di polizia degli Stati Uniti, spesso accusato di affidarsi troppo facilmente all'uso del profiling razziale per esercitare violenza, molti altri individui afroamericani furono uccisi in quello che appariva come un abuso da parte delle autorità. I nomi delle vittime, archiviati come incidenti che non richiedono un colpevole, sono stati ricordati con l'hashtag saytheirname, «di' i loro nomi», col fine di onorare la dignità di persone che non meritavano di morire, e certo non per una ragione infondata come il colore della pelle. Nel frattempo il movimento Black Lives Matter continuò a crescere e a manifestare, per lo più in modo pacifico, e in altri casi, in un clima sempre più esasperato anche dalla partecipazione agli scontri di gruppi di estrema destra e di suprematisti bianchi, anche attraverso vere e proprie rivolte. Diversi gruppi di destra cominciarono infatti a opporre al motto Black Lives Matter («le vite dei neri contano») lo slogan All Lives Matter («tutte le vite contano»), come se il movimento nato in risposta all'abuso di violenza nei confronti di minoranze, in particolare del popolo afroamericano, non sottintendesse proprio questo: che qualsiasi essere umano debba essere trattato per principio allo stesso modo, indipendentemente dalla razza, dall'orientamento sessuale, dalla nazionalità o dal suo stato di salute.
Il caso di George Floyd, ucciso a Minneapolis da un poliziotto il 25 maggio del 2020, portò questa esasperazione all'estremo, dando luogo a un'accesa serie di manifestazioni contro il razzismo che in poche settimane finì per propagarsi in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Brasile, dalla Gran Bretagna a Israele, fino anche all'Italia. Floyd era stato arrestato perché, dopo aver acquistato un pacchetto di sigarette, era stato sospettato di aver pagato il conto con $20 contraffatti dal cassiere del negozio, che dunque aveva chiesto l'intervento della polizia. Di fronte alle forze dell'ordine Floyd non aveva opposto resistenza, eppure il suo caso ha finito per risvegliare le coscienze di molti per via del brutale video del suo arresto, in cui si può vedere l'uomo, disarmato e inerme, costretto a terra dal ginocchio del poliziotto puntato sul suo collo, mentre ripete per quattro interminabili minuti, con un filo di voce sempre più disperato, la frase «I can't breathe», «non respiro». Ma il poliziotto non cambia posizione, e Floyd verrà dichiarato morto di lì a poco, nonostante i suoi gemiti e il fatto che non non abbia opposto alcuna resistenza. Il poliziotto che l'aveva arrestato, Derek Michael Chauvin, a giugno 2020 è stato licenziato e accusato di omicidio. Nell'aprile del 2021 l'ex agente è stato condannato in tribunale per i tre capi d'accusa per cui era accusato: omicidio colposo, omicidio di secondo grado preterintenzionale e omicidio di terzo grado, per cui potrebbe passare in carcere quarant'anni della sua vita. Si è trattata di una sentenza storica negli USA, che metteva in discussione l'impunibilità delle forze dell'ordine in presenza di un abuso di forza nei confronti di un inerme.
Il movimento Black Lives Matter si batte affinché l'umanità che appartiene a ogni persona, sia essa bianca o nera, ricca o povera, uomo o donna, eterosessuale o no, venga riconosciuta e superi in valore qualsiasi differenza con altri esseri umani, in particolare se in una posizione di privilegio o di potere. Reclama il diritto alla libertà di vivere, di partecipare in egual modo alla crescita della società, al di là di qualsiasi pregiudizio. Per dare risonanza a questo messaggio universale, grazie alla capacità di far rete su Internet e all'hashtag blacklivesmatter, il movimento si è subito organizzato pensandosi in modo inclusivo e internazionale: perché se qualche protestante isolato può essere messo a tacere, un movimento trasversale che riguarda buona parte del mondo avrà forse più probabilità di essere ascoltato. Se siete simpatizzanti, potete scoprire come sostenere la causa sul sito di Black Lives Matter cliccando qui (ovviamente il sito è in inglese).
Se volete approfondire le tematiche della lotta al razzismo, in particolare negli Stati Uniti, della storia degli afroamericani, del pregiudizio o addirittura del suprematismo bianco, innanzitutto mi preme di introdurvi al nome di William E.B. Du Bois (1868-1963), uno dei maggiori intellettuali e leader afroamericani e autore di due saggi che sono stati pubblicati anche in Italia: il primo, Le anime del popolo nero che è considerato il suo capolavoro, racconta dalle sue origini, attraverso saggi, poesie e memorie personali, la storia del popolo afroamericano in lotta per la libertà; il secondo, Negri per sempre, è un trattato di sociologia che individua le radici e il fulcro della questione nera.
Un altro nome molto importante è quello di James Baldwin (1924-1987), romanziere, saggista, autore teatrale e poeta. Oltre a essere riconosciuto per il suo pensiero quasi profetico, uno dei suo tratti distintivi è di aver saputo coniare un indiscusso attivismo per i diritti degli afroamericani con una misurata empatia nei confronti dei bianchi e della loro posizione all'interno del dibattito. È autore di Questo mondo non è più bianco, una raccolta di saggi in cui con la sua prosa struggente si dedica a ricercare la sua identità di artista, di uomo nero e di americano. James Baldwin è stato recentemente riscoperto, sempre che ne avesse bisogno, grazie al documentario I am not your negro di Raoul Peck, che nel 2017 è stato candidato al Premio Oscar come miglior documentario e ha vinto il Premio del Pubblico della Berlinale Panorama e il prestigioso Premio BAFTA in Gran Bretagna. Il film, narrato dalla voce di Samuel L. Jackson, esplora la storia del razzismo negli Stati Uniti sulla base delle memorie di James Baldwin e del suo libro incompiuto Remember This House. Se volete vederlo, sottotitolato in in Italiano, cliccate qui. Qui sotto ne potete assaggiare il trailer:
Infine, mi preme consigliarvi altre due letture, che però in questo caso possono per ora essere affrontate solo in lingua inglese, perché non sono ancora state tradotte in italiano. Il primo, di Ibram X Kendi, si intitola Stamped from the beginning e nel 2016 ha vinto il US National Book Award: affronta la storia del razzismo, individuandone cause e temi chiave che spesso vengono accettati e dati per scontati in modo inconsapevole da chi si trova in una posizione di privilegio. È un libro che ridefinisce tutta la questione del rapporto tra razze a culture diverse, mettendo in discussione alcune certezze anche in chi - essendo bianco - non si considera razzista, ma senza volerlo partecipa comunque a un sistema che incoraggia al pregiudizio. Il secondo, invece, è White fragility: why it's so hard for white people to talk about racism, di Robin DiAngelo: pubblicato nel 2018, questo libro affronta il tema razziale dal punto di vista dei bianchi e indaga perché per la maggior parte delle persone sia ancora così difficile parlare di razzismo, senza che in esse si sollevi un impeto di imbarazzo, sdegno o addirittura rabbia. Il saggio suggerisce anche una nuova via per intavolare un dialogo più onesto a questo riguardo e fornisce alcuni consigli utili alla risoluzione del non sempre facile problema della convivenza tra culture.
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Hai letto fino a qui, e forse questo argomento ti interessa: ti consiglio allora di leggere anche l'articolo L'identità fragile, che minacciata scivola nell'odio, che trovi cliccando qui.
Il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato diverse riflessioni all'identità e alla memoria della vittima in quest'epoca purtroppo segnata da eventi capaci di causare la morte di masse di persone, che poi sono gli stessi eventi che minano la nostra identità generando la paura. Le vittime di massa, infatti, spesso faticano a ritrovare una loro identità e una memoria che renda loro onore: se ti interessa sfogliare tutti gli articoli che il blog de Il Tuo Biografo ha dedicato all'argomento, clicca qui.
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