«Prenditi cura dei tuoi ricordi
ché riviverli non puoi»
Bob Dylan
Open the door, Homer
Sebbene l'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura 2016 a Bob Dylan sia per molti versi controverso, quasi nessuno, tra quelli che hanno ascoltato o letto i testi delle sue canzoni, potrebbe mai sostenere che il cantautore statunitense non sia, oltre che un musicista, anche un gran poeta. Questo vale anche per me, che all'assegnazione del massimo premio letterario mondiale a quest'uomo geniale e sfuggente ho certo storto il naso, capendo poi le ragioni di questo riconoscimento quando ne ho letta la motivazione: «Per la creazione di nuove espressioni poetiche entro la grande tradizione musicale americana». Che è un po' come dire: la tua non è letteratura, e noi lo sappiamo, ma nell'ambito della parola poetica delle canzoni hai cambiato il mondo, e questo ti va riconosciuto. Questo è vero, indipendentemente dal gusto personale di ognuno. Poi mi chiedo se questo riconoscimento dovesse conferirlo proprio l'accademia di Stoccolma, che certo ha già un bel daffare nello scegliere i migliori tra gli scrittori e le scrittrici, tra i poeti e le poetesse di tutto il mondo e di tutte le letterature, tenendo conto che il premio ha sempre avuto i suoi incomprensibili grandi esclusi. Ma, volendo abbandonare ogni polemica, è indubbio che Dylan con le sue canzoni - e i loro messaggi, espressi con una ricercatezza non comune in una rock star - abbia contribuito ad attuare una riforma culturale che va ben al di là del suo ruolo di cantautore e che, soprattutto, ha attraversato mezzo secolo senza mai davvero invecchiare.
Insomma, Bob Dylan è senza dubbio, a suo modo, un narratore, e chi lo può ascoltare o leggere in inglese sa certamente che è anche un poeta capace di regalare molte emozioni. Per chi può leggerlo solo in italiano, ma fosse incuriosito dalla sua produzione, esiste la raccolta di tutti i suoi testi con traduzione a fronte nel volume Lyrics 1962-2001. Testo inglese a fronte, pubblicato da Feltrinelli.
In questo articolo, che ho dedicato alla sua biografia e alla sua profonda e variegata produzione artistica, ho cercato di riassumere una vita fatta di battaglie per sfuggire a etichette precostituite, che cominciarono a rincorrere Bob Dylan fin dai suoi esordi, quando divenne un vessillo della lotta giovanile nei primi anni Sessanta. Lui naturalmente rifiutò qualsiasi tipo di definizione, ingaggiando con la stampa, prima ancora che col suo pubblico, un braccio di ferro combattuto a suon di riservatezza e inaspettate svolte poetiche. Nel corso della sua carriera ha attraversato generi e messaggi diversi, riuscendo sempre a reinventare sia se stesso che la sua musica, con fortune alterne. Se vi va di approfondire la biografia di Bob Dylan, senza dubbio vi invito a leggere il profilo che le ho dedicato in questo articolo.
La citazione che introduce questo post, invece, è tratta da una delle canzoni giovanili di Bob Dylan, ovvero Open the door, Homer, che è contenuta nell'album The basement Tapes (ovvero: I nastri della cantina, in italiano, che è un titolo che mi ricorda tanto la mia serie I racconti della cantina, e la cosa mi strappa un piccolo sorriso: perché prima di ora non sapevo di avere una cantina in comune con Bob Dylan!). È una canzone strana, di cui è difficile capire il senso, perché passa da un tono che sembra ridanciano a momenti più lirici e profondi, e non se ne capisce il perché. Tra l'altro, sebbene la canzone si intitoli Open the door, Homer (cioè: «Apri la porta, Homer»), quando Dylan canta il ritornello dice chiaramente «Open the door, Richard» (ovvero: «Apri la porta, Richard»). Come mai?
Qui se volete potete ascoltarla:
Open the door, Homer fu registrata da Dylan and The Band nel 1967, ma, come accadde con gran parte delle canzoni di The basement tapes, fu donata dall'autore a un altro gruppo, in questo caso i Thunderclap Newman (in cui suonava nientepopodimeno che Pete Townshend, ovvero quello che da qualche anno era già uno dei leader di The Who), che si esibirono per appena un paio di anni, dal 1969 al 1971, e intanto pubblicarono la loro cover di questa canzone. Tra gli anni Sessanta e i Settanta Open the door, Homer fu interpretata anche da altri gruppi, come The Walker Brothers, The Floor e i Fairport Convention, ma nessuna di queste interpretazioni diventò mai una hit.
Il fatto è che Open the door, Homer aveva una storia particolare. Sembrava una canzone stupidina, un divertimento, perché era ispirata a una canzone umoristica - intitolata Open the door, Richard: e qui già comprendiamo la storia del ritornello - che era stata un vero tormentone negli USA negli anni Quaranta, ma allo stesso tempo suggeriva di riferirsi a sentimenti in qualche modo più profondi.
Open the door, Richard era stata scritta dal jazzista afroamericano Jack McVea e raccontava la storia di un ragazzo che, dopo aver passato tutta la notte a divertirsi, tornava a casa tutto alticcio sul far della mattina e, pur desiderando ardentemente di andare a letto, si accorgeva di aver dimenticato le chiavi di casa. Che pasticcio! Perciò batteva alla porta, sperando che il coinquilino - Richard, appunto - si svegliasse per aprirla, e intanto rideva con grande ironia della propria situazione tragicomica - quella di un afroamericano che vive quotidianamente la brutalità della segregazione razziale e che, come se non bastasse, si trova chiuso fuori di casa a notte fonda il giorno in cui ha deciso di divertirsi bevendo un bicchiere in più! Il ritornello, che in effetti finisce per rimanerti in testa lasciandoti dentro un grande sorriso, faceva per l'appunto «Open the door, Richard!». Questa canzone rimase nella classifica delle canzoni più amate del 1947 per diverse settimane e per un mese intero fu addirittura prima.
È una canzone davvero carina, e qui sotto potete ascoltarla:
Della canzone di Jack McVae furono in seguito fatte molteplici cover, adattate un po' a tutti i generi musicali: dal rock al reggae, dal blues allo ska, Open the door, Richard continuò a essere un tormentone per molti anni a seguire, fino a ispirare negli anni Sessanta la canzone di Dylan, che però ne cambiò sia il testo che la musica, mantenendone solo parte del ritornello. Perché questo tributo? Gli esperti di Bob Dylan risolvono il mistero raccontando una storia che spiega tutto: il titolo diverso dall'originale, la persistenza del nome Richard nel ritornello anche nella nuova versione, lo strano cambio di tono tra le diverse fasi della canzone, questo bizzarro passare dal faceto al profondo, che a un primo ascolto appare senza senso.
Pare che all'inizio degli anni Sessanta a Bob Dylan capitasse di canticchiare proprio Open the Door, Richard coi suoi amici - con cui formava un quartetto: assieme alle sorelle Mimi e Joan Baez, sua compagna al tempo, e al musicista e scrittore esordiente Richard Fariña, che con Mimi era sposato. Certo conosciamo il nome di Joan Baez, ma forse non abbiamo mai sentito quello di Richard Fariña, probabilmente a causa della sua morte prematura nel 1966 in motocicletta, poco dopo la pubblicazione del suo unico e primo libro, Been Down So Long It Looks Like Up to Me (che se ci pensate ha un titolo strepitoso, tradotto in italiano da Fandango con Così giù che mi sembra di star su). Il protagonista del romanzo di Fariña pareva un novello Ulisse intento ad attraversare perigliose avventure. Perciò, quando Fariña morì all'improvviso, Bob Dylan scrisse una canzone ispirata al motivo che aveva spesse volte cantato in allegria coi suoi amici, dedicandola indirettamente all'amico scomparso (introducendo nel titolo, al posto del nome Richard, Homer, ovvero il narratore delle avventure di Ulisse), inserendovi passaggi ridanciani in onore di quel ricordo, ma anche frasi tratte dalla Sacre Scritture (ad esempio, «voi mangerete il grasso della terra», Genesi 45:18) inframezzate a versi malinconici di grande profondità lirica.
Insomma, Open the door, Homer è una canzone del ricordo, in cui Dylan racconta - ma senza mai farlo esplicitamente - dei tempi in cui cantava la canzone di McVae col suo amico scomparso. I passaggi allegri e quasi ridicoli servono a sottolineare la gioia di quei momenti, mentre quelli più riflessivi e malinconici esprimono il senso di lutto nei confronti della perdita di Fariña. Ed ecco qui: una canzone buffa e a tratti incomprensibile d'un tratto appare in tutta la sua bellezza grazie alla conoscenza della biografia dell'autore. Cosa potrebbe volere di più un biografo?
Qui sotto, perché forse a questo punto sarete curiosi, vi lascio sia il testo originale che la traduzione in italiano di Open the door, Homer.
Buon canto!
Se vi va di approfondire la biografia di Bob Dylan, invece, la trovate qui.
Open the door, Homer
Now, there’s a certain thing
That I learned from Jim
That he’d always make sure I’d understand
And that is that there’s a certain way
That a man must swim
If he expects to live off
Of the fat of the land
Open the door, Homer
I’ve heard it said before
Open the door, Homer
I’ve heard it said before
But I ain’t gonna hear it said no more
Now, there’s a certain thing
That I learned from my friend, Mouse
A fella who always blushes
And that is that ev’ryone
Must always flush out his house
If he don’t expect to be
Goin’ ’round housing flushes
Open the door, Homer
I’ve heard it said before
Open the door, Homer
I’ve heard it said before
But I ain’t gonna hear it said no more
“Take care of all your memories”
Said my friend, Mick
“For you cannot relive them
And remember when you’re out there
Tryin’ to heal the sick
That you must always
First forgive them”
Open the door, Homer
I’ve heard it said before
Open the door, Homer
I’ve heard it said before
But I ain’t gonna hear it said no more
Traduzione in italiano (che è mia):
Ora, c'è una certa cosa
che ho imparato da Jim
una cosa che ha sempre voluto che io capissi
e cioè che c'è un modo particolare
di saper nuotare
se uno spera di mangiare
il grasso della terra
Apri la porta, Homer
è una frase che ho già sentito
Apri la porta, Homer
è una frase che ho già sentito
Ma non lo sentirò più
Ora, c'è una certa cosa
che ho imparato dal mio amico, Mouse
un tipo che arrossisce sempre
e cioè che tutti
devono sempre tirare la catena del cesso
se uno spera di non dover
girovagare per casa a tirarla lui
Apri la porta, Homer
è una frase che ho già sentito
Apri la porta, Homer
è una frase che ho già sentito
Ma non lo sentirò più
“Prenditi cura dei tuoi ricordi”
dice il mio amico, Mick
“ché riviverli non puoi
e ricorda che quando sei là fuori
quando cerchi di curare gli infermi
sempre prima devi
perdonarli”
Apri la porta, Homer
è una frase che ho già sentito
Apri la porta, Homer
è una frase che ho già sentito
Ma non la sentirò più
***
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