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Immagine del redattoreNina Ferrari

La vita di Heinrich Böll: autore Premio Nobel delle macerie - e della ricostruzione




Heirich Böll (1917 - 1985) è stato uno dei maggiori scrittori tedeschi del secondo Dopoguerra, capace di cogliere e raffigurare la natura umana attraverso l'affresco di persone comuni alle prese con la società, la politica e la storia. Vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1972, per «una scrittura capace di combinare un'ampia prospettiva sui suoi tempi e una sensibilità nella caratterizzazione che ha contribuito alla rinascita della letteratura tedesca». I suoi libri più amati - e famosi - sono Opinioni di un clown (1963), Foto di gruppo con signora (1971) e L'onore perduto di Katharina Blum (1974).


Sesto figlio del falegname e scultore Victor Böll e di sua moglie Maria, Heinrich Böll nacque a Colonia, sulle rive del Reno, nel pieno della Prima Guerra Mondiale. Tra la guerra e la Grande Depressione del 1929, il giovane Böll - che allora frequentava le scuole elementari - conobbe la povertà e la fame. Terminato il primo ciclo di studi, si iscrisse al liceo umanistico. In casa la famiglia soleva parlare liberamente di società e politica e, quando Hitler venne eletto nel 1933, la madre Maria pronunciò le profetiche parole: «Questo significa guerra!». Böll, come la sua famiglia, era un oppositore del nazismo e negli anni Trenta si rifiutò di iscriversi alla Gioventù Hitleriana. Cominciò a cimentarsi con la scrittura e la stesura dei suoi primi racconti nel 1936, a diciannove anni. Tra il 1937 e il 1938 lavorò come apprendista presso una libreria di Bonn e alla fine del 1938 fu chiamato a prestare servizio civile nazionale per sei mesi - il servizio civile al tempo era obbligatorio in Germania per chi, come Heinrich, volesse frequentare l'università.


All'inizio del 1939 il giovane Heinrich si iscrisse al corso di letteratura tedesca e filologia classica dell'Università di Colonia, ma presto dovette lasciarlo. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nell'autunno del 1939, Böll fu infatti chiamato ad arruolarsi nella Wehrmacht - l'esercito regolare tedesco - e fu presto spedito al fronte per combattere prima in Polonia, poi in Francia e in Germania (dove conobbe la futura moglie Annemarie, che sposò nel 1942) e infine in Russia. Nel 1944, durante un raid aereo, sua madre Marie morì per un infarto. Böll, che avversava il nazismo e la sua violenta e assurda guerra, si oppose a qualsiasi promozione all'interno dell'esercito e cercò di evitare il più possibile il servizio attivo. Nonostante questo, venne ferito quattro volte. Tentò di disertare, ma, temendo la morte per fucilazione, nel febbraio del 1945 tornò ad arruolarsi. Fu allora che venne catturato dalle truppe statunitensi e fatto prigioniero, fino alla liberazione della Germania Ovest da parte degli Americani, nell'aprile dello stesso anno.


In una Germania devastata dai bombardamenti degli Alleati, Heinrich Böll e la moglie Annemarie tornarono a vivere a Colonia in un appartamento semi-distrutto. Sul finire del 1945 nacque il loro primo figlio, Christoph, che morì appena qualche settimana dopo. Böll tornò a iscriversi all'università - un'iscrizione puramente formale, che gli serviva per ottenere la tessera dei razionamenti alimentari - e si impegnò in prima persona per ricostruire la propria casa. Iniziò anche a scrivere il suo primo romanzo, che venne pubblicato nel 1949 col titolo Il treno era in orario. Divenne subito un caso letterario. Reduce dalla guerra, Böll non voleva «parlare d'altro»: i suoi primi romanzi raccontavano per lo più la storia di figure emarginate in una società che tentava di rimuovere velocemente il passato. Eppure, nonostante l'atmosfera plumbea dei suoi scritti, Böll riusciva a dare un senso a quelle vite distrutte attraverso l'irriducibile forza della verità umana che, rivelata da una prosa poetica che si teneva lontana da ogni intento edificante, mostrava l'essere umano nella sua natura ironica, profonda e a tratti desolante.


Padre di tre figli - Raimund, René e Vincent, nati tra il 1947 e il 1950 - Böll, nonostante il suo primo contratto editoriale, faticava a sbarcare il lunario, tanto che pensò di abbandonare definitivamente la scrittura. Lavorò brevemente - e con magra soddisfazione - per l'ufficio statistico del comune di Colonia e cercò nuovi impieghi nell'editoria e nella radio. Nel frattempo diede alle stampe nuove raccolte di racconti brevi, che destarono l'attenzione del mondo intellettuale tedesco e che gli valsero - nel 1951 - l'invito al consesso annuale del Gruppo 47. Il Gruppo 47, di cui facevano già parte autori come Gűnter Grass, Friedrich Dürrenmatt e Paul Celan, era un movimento culturale, nato dopo la Seconda Guerra Mondiale, che raggruppava giovani letterati tedeschi emergenti che desideravano far risorgere la cultura della Germania «ormai dimenticata e repressa dall'intervento nazista». In breve tempo Böll ne divenne uno dei massimi esponenti.


Critico nei confronti del recente passato nazista della Germania, Böll, di fede cattolica, si scagliò sovente in un'accesa polemica contro la Chiesa di Roma, rea di aver firmato nel 1933 un concordato con la Germania di Hitler, di fatto legittimando dal punto di vista etico il regime che di lì a poco avrebbe devastato l'Europa. In generale, Böll fu un autore che cercò sempre di confrontarsi con la memoria - e con il senso di colpa - della guerra, del nazismo e della Shoah e della difficile ricostruzione post-bellica della Germania; in seguito si confrontò con i temi del terrorismo e della Guerra Fredda, della corsa sfrenata agli armamenti, di una società e di una politica che, a discapito del singolo essere umano, si dimostravano conformiste e prive di coraggio, spesso abusando del proprio potere. Forte avversatore dei populismi nazionalistici di destra, a volte - soprattutto da parte della stampa popolare tedesca - fu accusato di essere un comunista, nonostante le sue posizioni fossero dichiaratamente distanti dalle politiche dell'ex URSS. Anzi, fu grande amico del Premio Nobel Aleksandr Solženicyn, notorio anticomunista, che ospitò a casa propria quando questi fu espulso dall'Unione Sovietica. Böll non fu mai uno scrittore strettamente politico, ma - proprio come accade nella realtà - non poté fare a meno di far misurare i personaggi dei suoi romanzi, spesso testardi e vagamente eccentrici, coi sordi meccanismi fagocitanti della società in cui li rappresentava. Secondo Böll gli standard morali venivano troppo spesso soggiogati a logiche di convenienza politica ed economica.


Nel 1953 l'autore diede alle stampe quello che può essere definito il suo primo capolavoro, E non disse nemmeno una parola, che è la cronaca di un incontro, dopo quindici anni di matrimonio, tra Fred, che ha abbandonato la casa di cui non sopporta più la soffocante atmosfera di miseria, e sua moglie Käte, che è rimasta tenacemente al suo posto, accanto ai bambini. Sullo sfondo di una città tedesca disseminata di macerie, nell'immediato dopoguerra, Fred e Käte ritrovano la tenerezza e il dissidio del loro passato, ma anche la possibilità di una nuova convivenza. Questo romanzo, che valse all'autore diversi premi, lanciò in modo definitivo la sua carriera di scrittore riconosciuto a livello internazionale. E, avendo una vaga idea della sua trama, che nell'ambientazione richiama altre opere dello scrittore, forse si comprenderà meglio perché il suo corpus sia stato spesso definito dalla critica come Trűmmerliteratur, ovvero «letteratura delle macerie», che nei romanzi di quest'autore assurgono al ruolo di coprotagoniste, sia in senso letterale che metaforico.


Numerose da questo momento in poi - e per oltre vent'anni - furono le sue pubblicazioni, sia come scrittore che come intellettuale. Si distinse inoltre per i lavori di traduzione dall'inglese al tedesco, in cui spesso lo affiancava la moglie Annemarie, che per lui fu sempre «unica e insostituibile, non solo come moglie e compagna, non solo perché ha vissuto e sopportato con me il dramma del regime nazi-fascista in Germania, ma anche per la sua fondamentale sensibilità per la lingua». Tra l'inizio degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, Böll scrisse e pubblicò i suoi indimenticabili capolavori, tra cui senza dubbio Opinioni di un clown (1963), Foto di gruppo con signora (1971) e L'onore perduto di Katharina Blum (1974).


Seriamente afflitto dall'epatite e dal diabete, nel 1967 gli fu conferito il maggiore premio letterario tedesco, il Georg-Büchner-Preis, mentre nel 1972 fu insegnito del Premio Nobel per la letteratura. Nel 1970 fu eletto presidente della PEN Association della Germania Ovest e l'anno successivo divenne presidente dell'International PEN club, posizione dalla quale si batté contro il governo statunitense perché rinunciasse a procedere contro l'attivista dei diritti civili Angela Davis. Nonostante la salute cagionevole, e i ripetuti problemi vascolari che gli richiesero di affrontare più di un intervento chirurgico, a partire dalla metà degli anni Settanta Böll viaggiò dall'Asia al Sud America per difendere i diritti civili e la libertà di parola di attivisti e scrittori. Nel 1981 pubblicò il suo primo testo autobiografico, Che cosa faremo di questo ragazzo?, tradotto in Italia da Einaudi e oggi fuori catalogo, che ripercorre la sua giovinezza nella Germania nazista. Un anno dopo, perse il suo secondo figlio, Raimund. Nel luglio del 1985, reduce dall'ennesimo intervento chirurgico, Heinrich Böll morì a sessantasette anni per alcune complicazioni, nella sua villa tra i monti Eifel. È stato sepolto nel cimitero di Bornheim-Merten, vicino a Colonia.



Una nota finale, una chicca.


Nel 1984, un anno prima di morire, in occasione del quarantesimo anniversario della capitolazione della Wehrmacht sul finire della Seconda Guerra Mondiale, Böll pubblicò Lettera ai miei figli o delle quattro biciclette, un testo di neppure trenta pagine che - attraverso quattro biciclette fondamentali - racconta a un giovane l'insensatezza della guerra. In Italia questa lettera è stata pubblicata nel 1990 da Edizioni Studio Tesi in una raccolta intitolata La capacità di soffrire. Il libro è fuori catalogo, ma cliccando qui potrete leggere la maggior parte del testo della lettera su Google Books. Ne vale la pena, davvero. Qui di seguito vi riporto l'intimo ma diretto incipit della lettera, chissà mai che vi ispiri:


LETTERA AI MIEI FIGLI O DELLE QUATTRO BICICLETTE

In memoria dei vostri due fratelli morti, Cristoph e Raimund.
Caro René, caro Vincent,
se in ciò che scrivo qui trovate o credete di cogliere anche una minima traccia di eroismo della sopravvivevenza o della ricostruzione, cancellatelo, rideteci su, commentatelo con ironia; credetemi, non ho intenzione di intonare la solfa della vecchia generazione, che vuole solo e sempre spiegare alla gioventù che vita difficile "noi" abbiamo avuto e come la sua sia e sia stata facile. Ah, questi allegri "rimboccamaniche", non smettono mai di cardare, neanche adesso.[...]
No, no, voi non avete la vita più facile di noi; non fatevelo mettere in testa. All'ultima guerra si poteva ancora sopravvivere, ed è questo che voglio provare a descrivervi. [...]
Ho "raccontato" abbastanza della guerra, potete andarvelo a leggere, anche quelle cose che ho definito come autobiografiche; alcune cose oggi mi sembrano abbastanza sostenute, molto "letterarie", siate indulgenti nel leggerle, e se trovate che là, come anche qua, si sia insinuato un lamento, allora dovrebbe essere solo un lamento sul Reich tedesco, i suoi capi e i suoi abitanti, mai su una delle potenze vincitrici, quindi nemmeno sull'Unione Sovietica. [...]
Il fatto che qualche volta vi sia caduto malato e che vi sia stato anche ferito fa parte della "natura delle cose", in questo caso la guerra, e ho sempre saputo che non eravamo stati "invitati" là. [...] I soldati comunque, e io ero uno di loro, non dovrebbero mai lamentarsi di coloro contro i quali si sono fatti mandare in guerra, solo di coloro dai quali si sono fatti mandare in guerra. [...] E dunque, se nel seguito devo necessariamente parlare di prigionia di guerra, fate attenzione a che non mi lamenti dell'esercito americano e di quello britannico. Dopo la guerra, dopo questa guerra, mi ero aspettato il peggio: decenni di lavori forzati in Siberia o altrove; e non fu neppure male, non così male, se pensate a quali devastazioni aveva portato la guerra e se inoltre considerate il fatto che nessun campo di concentramento sarebbe potuto esistere anche un solo anno senza l'esercito tedesco, e io vi appartenevo.

Puoi continuare a leggere la lettera su Google Books, cliccando qui.


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